“Oggi tutte le televisioni hanno un programma dedicato alla cucina, volto a dispensare consigli e formule magiche col nobile intento di farci star bene in salute e mantenerci in forma. I conduttori dopo le loro apparizioni diventano subito gastrostar. Dal video alla carta stampata il passo è breve. Pubblicati i loro libri occupano i primi posti nelle classifiche delle opere più vendute. Di questi ricettari e dei loro autori non si parlerà più fra qualche anno, mentre siamo qui a ricordare, ad un secolo e passa di vita, “L’Artusi”, un libro entrato non solo nella maggior parte delle famiglie italiane, ma a pieno diritto nella Storia della Letteratura”.
Un incipit quanto mai attuale, quello della relazione del professore Antonino Megali che, in un incontro promosso dal circolo culturale Agorà, ha fatto meglio conoscere la figura del “padre” della gastronomia italiana, ovvero Pellegrino Artusi, autore de “La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene”, e morto un secolo fa.
Una figura innovativa ed i cui consigli, ancora oggi, si dimostrano attuali e importanti. Non solo per la cucina in quanto tale, ma appunto per questo collegamento tra scienza e cucina, per la sottolineatura del mangiar bene e sano, prima ancora che questo aspetto diventasse una “moda”.
Una relazione puntuale ed interessantissima, quella svolta dal professore Megali, che ha evidenziato come prima di Artusi, “solo due autori che si sono occupati di gastronomia hanno avuto un posto nelle rispettive letterature. Il primo è Marco Gavio Apicio, autore del “De re coquinaria libri decem”, nato nel 25 a.C.; il secondo appartiene alla letteratura francese: è Anthelme Brillat-Savarin, autore della Fisiologia del gusto ovvero Meditazioni di gastronomia trascendente”.
Artusi pubblicò il suo libro, a settant’anni, nel 1891, a proprie spese in mille copie e il volume si arricchì di nuove ricette fino alla quattordicesima edizione del 1911. L’ultima ne presenta 790, tutte sperimentate dall’autore.
“La prima edizione dell’opera – caso unico nella storia della gastronomia – è dedicata ai suoi due gatti Sibillone e Biancani “due dei miei migliori amici dalla candida pelle””.
Nel suo libro – afferma il relatore – “come scrive Piero Camporesi, la scienza, attraverso la mediazione dell’arte diventa pratica, componendosi così quel triangolo cucinario di cultura, invenzione ed esperienza che trova l’identico corrispettivo nell’altro triangolo i cui vertici sono dati da igiene (scienza), economia (pratica), buon gusto (arte). La Scienza in cucina va pertanto letta come omaggio al diffuso positivismo del tempo; l’Arte di mangiar bene conferma che la cucina è fantasia, invenzione”.
L’autore “in quella che chiama Prefazio, con stile scanzonato e beffardo avverte che “la cucina è una bricconcella; spesso e volentieri fa disperare, ma dà anche piacere, perché quelle volte che riuscite o che avete superata una difficoltà, provate compiacimento e cantate vittoria”.
È noto, ha proseguito Megali, “che fra Sette e Ottocento nasce un vero interesse per la scienza dell’alimentazione e s’incomincia a parlare di fisiologia della digestione, assorbimento intestinale, metabolismo. Viene scoperta l’importanza dei cibi contenenti ferro per gli anemici; dei cibi proteici; della distinzione degli alimenti in proteine, carboidrati e grassi; del metabolismo epatico dello zucchero e del glicogeno nella produzione di energia. L’Artusi ostenta le sue conoscenze scientifiche oltre che degli aforismi della medicina ippocratica e della scuola salernitana, dopo essere stato promosso come autore “igienista” dal grande Paolo Mantegazza .
Ed è per questo che prima di elencare le ricette introduce alcune norme d’igiene, per poi chiudere il libro con un capitolo intitolato “Cucina per gli stomachi deboli, la quale pare sia venuta di moda””.
Il relatore effettua poi un “breve excursus sulle invenzioni, sulle divagazioni, sui meriti, sui suggerimenti di questo libro di cucina, sempre presentati con tono ironico, pratico, senza darsi grandi arie”. “Artusi è stato il primo a mettere in discussione il predominio francese in cucina, sostenendo che “quella italiana…può rivaleggiare con quella francese e in qualche punto la supera”. Con questo testo l’Italia rivendica per la prima volta una autonoma gastronomia. “Fu il nostro autore ad imporre gli gnocchi di patata. Fu ancora il nostro a mettere la salsa di pomodoro (distinta dal sugo) sugli spaghetti e a fissare la sua composizione. Un’altra rivalutazione: le melanzane”.
Megali evidenzia, poi, come l’intento di Artusi “era quello di far mangiare a tutti gli italiani gli stessi cibi, volendo con questo renderli uguali nel buon gusto nell’evitare gli sprechi e le stravaganze. Promuovendo una gastronomia basata sull’igiene e sulla buona salute, riformò le tradizioni precedenti e riuscì a unificare l’Italia a tavola”.