Diciamolo francamente: in tanti, fautori di una idea di televisione culturale, avevano atteso ed hanno seguito con trepidazione, domenica sera, la prima puntata di “Masterpiece”, il talent letterario. Ma la speranza è miseramente crollata dopo appena qualche minuto: prime immagini e linguaggio più che simili a quelli dei talent più noti, naturalmente di quelli di “patinati”, tanto per dare un tono “chic”. E tutti subito a trovare una correlazione, ovviamente, con “Masterchef”: con tanto di giudice affascinante e calato nella parte dell’artificiosamente “cattivo”, insomma una sorta di “Cracco letterario”; con tanto di “per me è sì”, per non farci mancare anche i rimandi a X Factor e company. Ma soprattutto con tanto di quelli che il popolo dei “social network” ha subito definito “casi umani”, che – si chiedono in molti – non si sa cosa abbiano a che fare con la letteratura.
Nel talent di Raitre di romanzi si parla poco, così come di tecnica, di formazione. L’importante è parlare della storia del personaggio (pardon, del concorrente). Insomma, aspettavamo con ansia un programma sulla scrittura: ma forse dimenticavamo (o dimenticavano) che un format – o meglio, una trasmissione – in cui c’era anche una gara ed in cui si parlava di letteratura, di formazione, di parole, di etimologia, di romanzi, e si scriveva, alla fine, con una meravigliosa penna, c’era già, da tanto tempo. Si chiamava “Parola mia” e faceva “un botto” di spettatori! Segno che di cultura in televisione, con rimandi al “popolare” e all'”alto”, si può parlare, eccome!