Sull’onda del successo, del passaparola e delle critiche entusiastiche (ormai non esistono più le mezze misure, le critiche ponderate, ma gli schieramenti, le divisioni persino su una serie, con dibattiti sui social dai toni – francamente – sopra le righe), anch’io lo scorso anno, decisi di vedere “This is us“. Almeno i primi due episodi. Già, perché dopo il primo iniziai a pensare: sì, carino, ma senza entusiasmi; un normale family drama, insomma, tolto il vero aspetto innovativo – ma poi neanche tantissimo – dell’alternanza temporale del racconto. E mi chiesi subito: ma se questa serie, invece che negli Usa, fosse nata in Italia, sarebbero stati così entusiasti? Perché, è inutile negarlo, una parte della platea televisiva di oggi, sempre più formata da giovani che attingono dal web e che, non conoscendo la storia della tv, si entusiasmano spesso per ogni cosa che sembra loro nuova, respinge spesso aprioristicamente i prodotti italiani, specie se provenienti dalla tv generalista. O quantomeno, è quanto riflette la “bolla social”.
Ieri sera, dunque, la messa in onda (preceduta dalla diffusione su Raiplay) dei primi due episodi dell’adattamento italiano di This is us”, “Noi”. E, nell’analizzare questa serie, è inevitabile riagganciarci proprio all’analisi dello stesso originale statunitense: ovvero, “Noi” ha gli stessi pregi e gli stessi difetti della serie da cui prende spunto. Perchè si è cercato di non allontanarsi troppo da quell’originale, anche se si è adattato e calato nella realtà italiana (ma forse, almeno nei primi due episodi, non abbastanza), aspetto che dà un’identità e rappresenta la vera forza di ogni adattamento: e soprattutto perchè nel fare questo, come è stato detto in conferenza stampa, nel tentativo di allontanarsi da ogni forma di retorica e ogni eccesso di sentimentalismo (che in “This is us” è presente), nella paura di cadere in questo e dunque essere considerati troppo tradizionali, si è caduti nell’eccesso opposto: una rappresentazione un po’ distaccata, asettica, che non consente allo spettatore di entrare completamente in empatia con i personaggi, almeno in questa prima fase. E’ come se ci fosse un timore di essere giudicati poco innovativi nel caso in cui si manifesti l’emozione – pur se l’omologo americano lo fa. Anche se, per avere un’opinione più complessiva, occorre sicuramente aspettare i prossimi episodi.
Anche perchè – e questo andrebbe sottolineato, per i critici dell’ultima ora -, alla sceneggiatura c’è Sandro Petraglia, uno dei migliori autori del nostro cinema e della nostra tv: dunque, non si può dire che non sia stato svolto un lavoro accurato.
Così come è certo che il cast sia di alto livello, composto da alcuni tra i migliori attori teatrali italiani: a partire da Lino Guanciale, passando per Massimo Wertmüller, nel ruolo del ginecologo, fino a Leonardo Lidi, attore e regista tra i più acclamati della nuova generazione e che in “Noi” interpreta il ruolo di Teo. Ma, su tutti, è da rilevare la grande prova di Dario Aita, che già dalla prima scena di “Questo nostro amore” si era imposto come giovane talento dalla recitazione molto contemporanea. Senza contare la rivelazione (nella recitazione e nel canto) della serie, Claudia Marsicano, nel ruolo di Cate.
Giusto per rimarcare come, di certo, nulla si possa dire sulla qualità attoriale.
Di contro, resta da analizzare sicuramente il discorso remake, adattamenti, sequel, che oggi sta animando sia il settore televisivo che quello cinematografico. E, specificatamente, quello che riguarda i remake di serie family: come si accennava, il dato che può rendere interessante, necessario e originale un remake è sempre l’adattamento alla società italiana, anche alla narrazione più vicina ad un sentire che è naturalmente differente, ad una rappresentazione differente che – ricordiamolo – ha fatto da scuola a livello internazionale. L’esempio più vicino a noi è quello di “Tutto può succedere”, il remake di “Parenthood”: personalmente avevo amato la serie americana e anch’io avevo provato una comprensibile esitazione iniziale nell’approcciarmi alla versione italiana o a qualche personaggio. Tuttavia, dopo i primi episodi, la serie ha trovato una propria dimensione anche nel tratteggiare i protagonisti ed è diventata davvero un’altra cosa, più vicina al nostro sentire, alle dinamiche familiari, senza perdere in contemporaneità. Segno che si può fare (tra l’altro, la produzione è la stessa di “Noi”). Perchè il family ha una grande tradizione in Italia (da “Un medico in famiglia”, peraltro anch’esso un remake di una serie spagnola, dalla quale si è poi discostato, a “Una grande famiglia”, script originale di successo, per parlare solo delle fiction più vicine nel tempo) ed è naturalmente il genere che più attrae il pubblico: basta non perdere di vista quelli che sono aspetti che non possono essere eliminati pensando di tutelare l’innovazione. Insomma, dell’aspetto emotivo non si può fare a meno: non snaturare il family senza cadere nel sentimentalismo è possibile.