Non si fa altro, in queste ultime settimane, che parlare di talk show, di crisi di questo genere televisivo….come se fosse l’unico tipo di giornalismo televisivo immaginabile! Poi, invece, una sera, per caso, capita di fermarsi a guardare una puntata di una serie di inchieste e di riconciliarsi immediatamente con il giornalismo. Quel tipo di giornalismo che sembra ormai scomparso, quello lontano dal semplice porre un microfono davanti al volto di un politico, bensì quello in cui – come insegnavano una volta i grandi cronisti ai giovani desiderosi di apprendere – ti consumi la suola delle scarpe, per andare per strada a cercare le notizie. Quel giornalismo in cui “la storia” viene raccontata non attraverso i numeri, i comunicati, e soprattutto non attraverso i commenti del cronista, ma attraverso le storie, quelle quotidiane.
E’ quello che fa, ogni settimana, su Raitre, Domenico Iannacone, con “I dieci comandamenti”: in ogni puntata racconta queste storie, la maggior parte delle quali sconosciute; piccole grandi vicende, cui si accosta con la semplicità e la naturalezza del grande cronista.
Ascoltando e non giudicando mai, ma lasciando che, proprio attraverso la storia, sia il pubblico a formarsi un’opinione. E’ ciò che il giornalismo dovrebbe sempre fare: almeno questa è la lezione, la prima lezione che tanti anni fa, si apprendeva dai grandi maestri. Quelli che ripetevano fino allo sfinimento: “la notizia non è la vostra faccia, il compito di un cronista è di raccontare le storie”. Concetti che oggi, ripetuti a giovani colleghi, fanno guadagnare sguardi torvi…
Iannacone è invece un cronista che questa lezione l’ha appresa molto bene: il racconto, la storia diventa protagonista, diventa strumento per raccontare l’universalità di un tema. Il giornalista resta un passo indietro rispetto a ciò che racconta: come nel caso della puntata “L’altro mare”, ambientata sulla spiaggia di Mergellina, quella libera, divisa da uno steccato dai lidi a pagamento, popolati dai ricchi. Quello steccato è una metafora, ma non solo di una situazione che riguarda Napoli, bensì di un intero Paese.
Iannacone lo descrive con semplicità, lasciando parlare la gente, i protagonisti della storie. E soprattutto lo fa lasciando parlare le immagini, come dovrebbe essere in un reportage televisivo: le immagini fanno il racconto. E, ne “I dieci comandamenti”, c’è una cura, un gusto per l’immagine che supera quello consueto delle inchieste televisive: è quasi cinematografico, è un reportage che ha il sapore del documentario. Il racconto si sviluppa anche grazie a queste immagini e ciò fa sì che lo spettatore fatichi a staccarsi dalla visione, che non possa allontanarsi dallo schermo, che sia quasi ammaliato. Ed è così che, grazie a questo programma, il giornalista riesce a raccontare la crisi molto meglio di quanto possano fare decine di trasmissioni di economia o commenti di addetti ai lavori. Un coinvolgimento nel racconto che, già nelle precedenti edizioni del programma, Iannacone aveva dimostrato di saper creare e che, stando alle immagini con cui si anticipava la prossima puntata, è destinato a durare nel tempo….