Niente ti estranea da tutto il resto e, nello stesso tempo, ti connette con un luogo e con una storia come il teatro. Se poi, sul palco, ci sono Salvo Arena e Fabrizio Ferracane…
Lo scrivevo di getto, ieri sera, dopo aver assistito al primo appuntamento di “Epic”, la rassegna promossa da Mana Chuma Teatro: un primo studio, un primo affascinante percorso tra le parole di tre grandi autori, Saverio Strati, Umberto Zanotti Bianco e Gioacchino Criaco (anche consulente drammaturgico di questo progetto). Un percorso tra i paesi, gli abbandoni, la resistenza e i tentativi di rivoluzione di chi vive “il Monte Aspro” (questo il titolo), in una “rilettura critica dello spopolamento”, che passa proprio dalla forza delle parole. E dalla loro interpretazione, dal loro sentirle, farle proprie e restituirle a chi le ascolta: questo è stato il percorso, sul palcoscenico, di Salvatore Arena (anche regista dello spettacolo insieme a Massimo Barilla) e Fabrizio Ferracane. Una performance attraverso la quale entrare in quei racconti, nei personaggi descritti ne “La teda” di Strati o “La maligredi” di Criaco, o nelle riflessioni precise e poetiche di “Tra la perduta gente” di Zanotti Bianco. E sentire quelle parole ancora vicinissime a noi, dolorose e universali, ma anche piene di dignità, coraggio – in particolare delle donne, tratteggiate con una visione contemporanea e reale -, desiderio di riscatto e di combattere la resa.
Due giganti del teatro che si incontrano per costruire in scena, insieme al pubblico, uno spettacolo, per dare il “la” a qualcosa che può svilupparsi ancora, crescere sul palcoscenico e nel lavoro teatrale, ma che contiene già pienamente la sua essenza. Arena e Ferracane hanno già reso quello che è “Il Monte Aspro”: una visione profonda, non chiusa in sè stessa, della Calabria, delle sue aree interne; una visione che, per la sua natura letteraria, supera di per sè qualsiasi rischio di ovvietà, di luogo comune, per diventare reale, ma senza perdere la poesia e lo sguardo di speranza, mai pietistico. Li fa rivivere Arena, con la forza della sua interpretazione, che descrive, racconta con profondità e modulando il proprio talento, rendendo quasi reali davanti ai nostri occhi luoghi e persone, così come Ferracane, che si immerge con grande intensità nei personaggi, arrivando a commuovere, con le parole di un figlio che ricorda il padre emigrato, o tratteggiando l’immagine delle “madri di gelsomino”.
E questo percorso, sottolineato dalle musiche originali eseguite dal vivo da Luigi Polimeni, acquista un valore aggiunto dal luogo in cui la performance prende vita: lo dichiara subito, nel presentare lo spettacolo, Massimo Barilla (direttore artistico, insieme ad Arena, di Mana Chuma Teatro), parlando di un contesto che non è solo sfondo, ma che si integra in un progetto. Ed è realmente così: il Parco Diffuso della Conoscenza e del Benessere di Pellaro avvolge quelle parole, con il pubblico vicino – non solo fisicamente – al racconto, con la sensazione di essere davvero dentro quel percorso. Un luogo che si riconnette perfettamente, appunto, a quel percorso, tra natura, cultura, ricerca di un benessere che parta dalla mente, dalla riscoperta di radici, ma con uno sguardo – reale – verso orizzonti, verso nuove possibilità, includendo (non solo le periferie, come il progetto del Mic nel quale rientra la rassegna “Epic”, ma naturalmente in senso più generale). Creando, tra le luci, il paesaggio, l’atmosfera raccolta che si apre verso un panorama incredibile, un momento quasi magico, suggellato dalla parola e dal teatro. E contribuendo a realizzare uno dei più interessanti appuntamenti teatrali della stagione.
Appuntamenti che continueranno – a partire da quello di questa sera, 13 settembre, con Ciro Masella che proporrà il celebre testo di Alessandro Baricco, “Novecento” – fino al 17 settembre.