Un irresistibile flusso di felicità, che passa dal palcoscenico alla platea. E’ lui la “macchina della felicità“, che regala pillole di saggezza e buonumore e battute a raffica, con una capacità di improvvisazione straordinaria; che fa scaturire con immediatezza l’ironia da una frase appena letta; che coinvolge per tre ore con un’irrefrenabile energia, con un talento unico, tra sorrisi e profonde riflessioni, tra canzoni e monologhi intensi, mostrando la grandezza di un artista che sa essere tale. “La macchina della felicità” è Flavio Insinna (nella foto di apertura, di Antonio Sollazzo), tornato al “Cilea” di Reggio Calabria a 12 anni di distanza dalla rappresentazione di “Senza swing”: ed è, sul palco, l’artista completo, che tiene la scena senza un attimo di pausa, senza far scemare mai il ritmo; ma è anche la persona, non il personaggio, colui che un’ora prima abbiamo visto in tv e che adesso vediamo entrare in teatro dalla platea, con naturalezza, quasi continuassimo un discorso. E non abbiamo davanti ai nostri occhi un divo, ma qualcuno che ci parla, di sé e di noi, di ciò che siamo, di ciò che cerchiamo nella vita di tutti i giorni: e lo fa con una semplicità che è frutto di grande profondità, di studio e lavoro.

E’ l’Insinna che ironizza, che fa battute, ma anche che ci porta, attraverso citazioni o ricordandoci le lezioni di grandi del passato, a riflettere sull’oggi. E’ l’artista che, leggendo le frasi sulla felicità che gli spettatori scrivono prima di entrare in sala, costruisce l’incipit della serata, con momenti esilaranti o commoventi, che nascono dalle emozioni, dalle battute, con estemporanea e travolgente sapienza; ma è anche l’autore, che ci porta dentro il cuore di quel libro che dà il titolo allo spettacolo, in cui racconta la felicità che nasce dall’incontro tra due anime, e l’interpreta, tratteggiando, nel momento forse il più intenso, un crescendo emotivo che svela la persona e soprattutto l’attore, che rende vivo il palcoscenico. E’ lì, infatti, sul palcoscenico, che Flavio sembra essere nato, con quel palcoscenico sembra essere tutt’uno, sembra trarre energia da esso, insieme al pubblico, in quel fluire di sensazioni, di risate, di canzoni cantate insieme (con la band che lo accompagna, capitanata dal maestro Nigro); di riflessioni, di semplici e profonde verità; di palloni giganti fatti volteggiare in aria, perchè questo spettacolo è la nostra ricreazione, quella che a scuola iniziava con quel suono della campanella che Insinna suggerisce di usare come suoneria abbinata a qualcuno che non ci piace, così, quando ci chiamerà, noi saremo comunque felici.

Felicità: la parola che risuona per tutto lo spettacolo, chiedendoci tutti insieme cosa sia, in cosa sia racchiusa, come raggiungerla. Forse nelle piccole cose, in ciò che abbiamo e non vediamo, nell’ironia, nel prendere le cose con leggerezza, che non significa superficialità (citando Calvino). O anche nell’assistere ad uno spettacolo, ad una macchina della felicità che, come il suo interprete, sa farci dono di ciò che l’arte dovrebbe sempre essere.

