La sofferenza, il dolore che resta uguale, nel mito, nella guerra, nella quotidianità; così come identica è la cura, della persona, dei ricordi, della storia. Identiche le ingiustizie e la lotta. Identiche per i personaggi di Sofocle, per il partigiano, per la figlia che perpetua quella cura, quel rispetto. A legare mito e contemporaneo è Antigone, evocata con quel filo sottile che unisce, quelle scarpe, identiche ma spaiate, metafora di un cammino, quello del padre “camminatore”, che non corre ma se cammina non lo fermi, che combatte quando deve farlo; e quando la malattia lo blocca, è la figlia ad accudirlo, ad orientarsi nel disordine di quell’uomo che rimanda ad Edipo, ad averne cura e rispetto anche dopo la sua scomparsa.
Un’Antigone moderna, inusuale, delineata da Ascanio Celestini in un testo di 25 anni fa (di cui curò la pubblicazione il professore Carlo Fanelli, docente dell’Unical), che venne portato in scena da una giovanissima Veronica Cruciani. Adesso Celestini lo riprende, divenendone narratore, in un monologo che esalta, sottolinea la forza del testo. Un testo in cui si evidenziano i tratti del teatro di narrazione, con la reiterazione delle parole e dei concetti, che rimarca un significato, una sensazione e che trascina nel racconto; un testo che viaggia su percorsi temporali diversi, ma tutti vicini, tutti fondati sugli stessi sentimenti, attraverso un’idea drammaturgica geniale e inedita.
Ascanio Celestini presenta “Le nozze di Antigone” nell’ambito del Festival Oltremare, che ai miti guarda e rimanda; e arriva per la prima volta a Reggio Calabria, in un clima di grande attesa, portando il pubblico – anche grazie alle musiche eseguite sul palco da Gianluca Casadei – in un viaggio che non si ferma ad Antigone, ma, prendendo le mosse da quel testo, prosegue con improvvisazioni che guardano all’attualità, legate tra loro da temi universali e da narrazioni che si intrecciano. Come i “rivoluzionari in sala d’attesa” o come “la signora maestra di fila indiana” (che rimandano ai racconti del libro di Celestini “Io cammino in fila indiana”), in cui l’unione tra elementi ironici e surreali rivela il razzismo e l’odio per le differenze.
Genialità è la parola che contraddistingue una scrittura che prende vita in scena, che si trasforma, che lima le parole, le plasma portando lo spettatore nella storia, mostrandogli pian piano come quella narrazione sia più vicina di quanto pensi, come quella metafora traduca, attraverso l’arte, la realtà. Genialità della scrittura drammaturgica di Ascanio Celestini che ha reso la seconda serata del festival – promosso da Adexo e Officine Jonike Arti – un momento di grande teatro.