Un tema che tocca da vicino, che rivive, che ritorna, affrontato con quella semplicità che nasce dalla complessità di ricerca ed esprime un’altra complessità, quella di vite e situazioni; il teatro che racconta, mescolando il sorriso alla tragicità di una realtà che temporalmente è lontana (gli anni ’50), ma che si riflette nell’oggi: sorriso e dramma, piccoli istanti di felicità, vite che si ricostruiscono per poi affrontare i dolori più grandi. Ed il racconto scorre per piccoli dettagli, per ricordi, per brevi dialoghi, potremmo dire per quadri che trasferiscono emozioni, temi, vite, appunto.
“Tanos” è uno spettacolo (andato in scena come secondo appuntamento della rassegna di SpazioTeatro), ma anche un viaggio, un percorso, un lungo lavoro realizzato da Stefano Angelucci Marino e Rossella Gesini del Teatro del Sangro (e che ha dato vita a questa co-produzione con il Teatro Stabile d’Abruzzo): un viaggio nell’Argentina degli immigrati italiani, in questo caso provenienti dall’Abruzzo, ma gli echi di un’emigrazione massiccia che ha coinvolto tutto il sud d’Italia si avvertono, in questo testo che è nato dai racconti, dalle richieste di racconto dei tanti emigrati che gli attori hanno incontrato proprio in Argentina. Il desiderio di sentirsi raccontati nel profondo.
Un racconto, quello portato in scena, tra la sofferenza di lasciare i propri paesi, il viaggio in nave, l’arrivo in un luogo immenso, sconosciuto, la “sistemazione”, una vita costruita con fatica, i ricordi di gioventù e un figlio che si sta formando in un paese che dovrebbe dare prospettive e felicità, fino al dramma – letto attraverso gli occhi di un padre inerme e incredulo e di una madre disperata, ma combattiva – dei desaparecidos.
Il filo dell’emigrazione che lega due popoli, come quel filo che in scena regge due coperte, segno di unione tra due mondi e tra esistenze; una valigia, che un tempo era di cartone e che oggi forse è sostituita dalla valigetta da professionisti, quella di “cervelli in fuga” che varcano l’oceano, oppure dal nulla che tanti migranti portano con loro quando giungono – se giungono – sulle nostre rive: temi che ritornano, emozioni che non ci sono estranee. E che Stefano Angelucci Marino descrive attraverso una scrittura che è “alimentata” da quella di John Fante, già fonte di ispirazione in precedenti lavori dell’autore e regista abruzzese: la comicità, la visione del quotidiano, elementi che servono per portare lo spettatore – attraverso piccoli tocchi, attraverso una struttura che arriva immediata e che porta con sé quella complessità di cui dicevamo – alla visione di un mondo. Un mondo che riflette la vita di una coppia, che abbandona – tra dubbi e paure – una terra incapace di offrire un futuro, affrontando un viaggio in nave fino alla visione di una megalopoli che potrà aprire speranze. Le difficoltà iniziali, la nascita di un figlio, e poi la vita, costruita e vissuta, tra ricordi e realtà.
Immagini di un percorso che rivive attraverso il ritmo di scene e dialoghi, attraverso l’uso – che ritorna spesso nella produzione del Teatro del Sangro – di maschere e burattini, in questo caso a caratterizzare anche quell’identità, dalla commedia dell’arte alla maschera di Pulcinella, che gli emigrati sentono fortissima; e attraverso l’intensa interpretazione di Stefano Angelucci Marino e Rossella Gesini. Un lavoro di tecnica perfetta e cuore, emozioni che gli italiani in Argentina hanno trasferito loro e che gli attori riescono a trasferire a loro volta agli spettatori, fino all’immagine che chiude lo spettacolo: volti fieri, anche se spaesati o pieni di dolore, quelli delle foto in bianco e nero che gli emigrati spedivano ai loro familiari, foto che restano testimonianze e racconto oltre le parole.