Portare in teatro la storia già divenuta sceneggiatura cinematografica, non snaturandola o stravolgendola, ma facendone drammaturgia: Ferzan Ozpetek, dopo Mine Vaganti, riprende un altro suo film, Magnifica presenza, per tradurlo in spettacolo teatrale, non riprendendo pedissequamente le singole scene, ma, appunto, riadattandolo alla scena, e, con abilità, costruendo qualcosa di diverso che resta comunque fedele alla storia. E fa ancora una volta centro, come attesta anche il successo delle due repliche proposte nell’ambito della stagione teatrale 2025, promossa dalla Polis Cultura al Teatro Cilea di Reggio Calabria.
Ozpetek dimostra, dunque, ancora una volta, la sua maestria nella regia, sapendo modulare il proprio talento attraverso diversi strumenti espressivi: con la capacità di orchestrare gli spazi, di disegnare le scena con i movimenti attoriali, oltre che con la cura degli elementi scenografici e delle luci (molto interessanti i movimenti e i giochi di illuminazione che si stagliano sopra il palco e sul soffitto della platea), facendone altro rispetto alla scena cinematografica, comprendendo appieno la necessità di dare un diverso dinamismo ed una diversa costruzione, tridimensionale, alla forma teatrale rispetto all’immagine filmica. Ed è così che la storia di Pietro – attore in cerca di scrittura e con una vita sentimentale disastrata, che affitta una casa in cui si manifestano i fantasmi dei componenti di una compagnia teatrale degli anni ’40 – si sviluppa creando un’atmosfera più morbida rispetto ai colori del film, con una sintesi scenica che dà spazio comunque sia alle parti più divertenti, che alla riflessione e ai rimandi alla drammaticità della Storia. Senza disdegnare l’amata musica, che diventa elemento portante ma non invasivo. È un racconto scorrevole, con una costruzione che utilizza la platea, il proscenio, le scalette che portano verso il palco, come luoghi aggiuntivi, spazi e strumenti di una narrazione che si mostra originale rispetto al film: e quando i video entrano nella scena, non sono estranei alla drammaturgia, anche e soprattutto negli inserti iniziali e finali, in cui gli sguardi, i primissimi piani degli occhi, il volto commosso del protagonista, si uniscono al resto degli elementi narrativi, costituendo un momento di intensità e di profondità e un interessante incontro di linguaggi.

Ma l’abilità registica di Ozpetek si applica – in teatro come al cinema – in particolare alla direzione degli attori, in cui è da sempre maestro, valorizzando un cast eterogeneo e versatile: da Erik Tonelli – visto anche nel recente successo cinematografico di Ozpetek, Diamanti – che, nel ruolo di Pietro, conquista il pubblico del Cilea con la capacità di coinvolgere, dando anima, ritmo e voce al protagonista; alla ormai storica interprete di quasi tutti i film del regista, Serra Yilmaz, sempre capace di modulare con sapienza toni ed intenzioni, esprimendo tutta la gamma delle diverse emozioni del personaggio della capocomica; ad una esilarante e travolgente Tosca D’Aquino (Maria, la cugina di Pietro). E ancora, Luciano Scarpa, che veste i panni sia di Filippo che di Ennio, Toni Fornari, baritono e pianista della compagnia che appare a Pietro (ruoli congeniali all’attore che, tra l’altro, è anche componente di uno dei gruppi musicali più originali, ovvero “Favete Linguis”, creato insieme a Stefano ed Emanuela Fresi), Tina Agrippino, Sara Bosi, Fabio Zarrella.