Doveva essere solo un commento, è diventato quasi una recensione…
Qualche riflessione dopo la visione di “Racconto cosmicomico”, di e con Anna Calarco, la nuova produzione di SpazioTeatro, proposta nell’ambito della rassegna “La casa dei racconti”.
Trovarsi di fronte ad uno spettacolo che hai visto crescere, dopo aver assistito ai suoi primi passi, avvertendo che poteva svilupparsi, attraverso gli aspetti che già erano individuabili nella forma di reading e che potevano divenire forma scenica compiuta. E poi vederla quella forma scenica ed essere ancora più affascinati dal percorso che quelle parole, quell’interpretazione, quella scena riescono a realizzare. Ciò che Anna Calarco è riuscita a creare con “Racconto cosmicomico” è proprio il riflesso di un percorso teatrale, di un’idea che cresce negli anni, come un desiderio profondo, un viaggio che pian piano si sviluppa e trova forma completa sulle tavole del palcoscenico. Così, le “Tre cosmicomiche” proposte durante il Ragazzi MedFest, quel primo studio-reading che già aveva affascinato i ragazzi e il pubblico adulto, portandoli nel mondo, nel cosmo ricreato dalla parole di Italo Calvino, si trasformano nel “Racconto cosmicomico”, che da quelle parole non si discosta, ma le esalta ancor di più, perchè le incarna l’interprete in scena, le rende vive, le fa diventare immagini (per restare nel tema di una delle cosmicomiche che fanno parte del testo). Un testo non semplice, sia da rendere teatrale che da memorizzare, ma che Anna Calarco ha interiorizzato, fatto proprio, grazie anche alla passione per il mondo della scienza che ha saputo magicamente unire a quello del teatro, per poi restituirlo al pubblico, nella maniera più fluida, più scorrevole, avvicinandolo gli spettatori a quelle storie, facendoli entrare in quel racconto.
La scena, i movimenti, i suoni (realizzati dal vivo da Peppe Costa), le intersezioni con le luci (splendido il momento in cui le mani dell’attrice divengono strumento del racconto stesso, avvolgendo la luce, quasi racchiudendola, quasi inglobandola, scendendo sempre più in basso, fino a terra, fino al buio), fanno vivere quelle parole che Calvino scelse per fare della scienza, della creazione del mondo e dell’uomo, metafora dell’esistenza. La scena, le luci, i movimenti: e la voce, i toni, le intenzioni, che Anna Calarco sa gestire alla perfezione, affabulando lo spettatore, facendolo entrare, magicamente appunto, nel racconto, consentendogli di essere parte di una narrazione che dalla scienza ci riporta, senza quasi accorgercene, all’oggi, a riflettere sulla diversità, su esteriorità e interiorità, sull’amore come motore di tutto. E lo fa con l’arte, la cura e la capacità amplificata dall’esperienza di quello che definiamo teatro ragazzi, ma che è la più pura e difficile forma teatrale: quella, appunto, che si fonda sulla capacità di attrarre l’attenzione di un pubblico in formazione, profondamente sensibile, difficile da conquistare. E se riesci ad entrare nel cuore dei più giovani, se riesci a portarli a riflettere su temi importanti, con una complessità che diviene semplice (ma non semplicistica), quella capacità non ha confini, di generi teatrali o di espressione: anzi, ti consente di far arrivare a tutti quel contenuto, quell’emozione, quelle frasi che possono avere la forza dirompente che solo il teatro sa restituire.