Le fasi di una giornata scandite dalle scene di opere eduardiane; il tempo scandito dalle frasi di Filumena Marturano, o dei protagonisti di Natale in casa Cupiello, Napoli Milionaria, Sabato, domenica e lunedì (una scena nella foto di Aldo Valenti). Eduardo che travalica questo tempo, che resta universale. A scandire i sentimenti, le situazioni, il riso ed il pianto, la storia.
Eduardo che resta immortale, che incontra la maschera e che ripercorre il significato del tempo. Il ticchettio di un orologio che incontra le musiche tradizionali rivisitate in chiave jazz. Il tutto a sottolineare l’essenza di un artista che rimane un punto fermo, e non solo del teatro.
Questo e molto altro è “La Babele di Eduardo”, lo spettacolo messo in scena dal Laboratorio teatrale universitario “Le nozze”, per la regia di Marilù Prati e Renato Nicolini, nell’ambito di “Calabria Palcoscenico”. Probabilmente uno degli spettacoli più intensi dello stesso gruppo, che mostra ancora una volta una originalità creativa, sia per la costruzione della rappresentazione, dell’accostamento temporale delle diverse scene, sia per l’idea di far parlare ogni attore nella propria lingua d’origine: ovvero i dialetti calabresi, il siciliano, il pugliese ed il napoletano di Eduardo si incontrano, senza che si avvertano le differenze. La Babele in realtà diviene un tutto, in cui l’uno accoglie l’altro già dalla propria differenza linguistica. Un tutto che viene evidenziato anche dalle scene di Aldo Zucco, dalle luci di Luigi Biondi, e dalle belle proiezioni video di Giorgio Cannizzaro e Antonietta Di Lauro, che si integrano alla perfezione con la rappresentazione stessa, senza mai sovrastarla o esserne estranee, ma anzi divenendone parte, con stile ed atmosfere.
Insomma, la seconda tappa di questo progetto sull’opera eduardiana, che il laboratorio sta portando avanti, testimonia il percorso effettuato in questi anni ed anche la maturità interpretativa raggiunta da questi giovani, guidati da Nicolini e Marilù Prati, che si è calata, tra l’altro, con grande intensità nei panni dei personaggi femminili “storici” creati da Eduardo de Filippo, con il quale ha anche lavorato.
Infine, d’obbligo la citazione della frase finale, proiettata sul fondale del palcoscenico del Siracusa, al termine della rappresentazione: “il teatro è della città, teniamolo aperto”.