Un accuratissimo lavoro di ricerca, per arrivare ad una sintesi tra aspetti scientifici, letterari, teatrali, visivi e musicali. E per parlare ad un pubblico ampio – non solo di addetti ai lavori – di scienza, che è poi parlare anche di vita. “Spettri di Newton. Una storia umana della luce” è frutto di un percorso, di uno studio che ha visto unire il testo di Lorenzo Praticò, la collaborazione con il dipartimento di Fisica dell’Università della Calabria, la regia di Manolo Muoio ed Ernesto Orrico, all’interpretazione dello stesso Orrico e alle musiche di Massimo Garritano, per portare in scena una storia, tra passato e sguardo al futuro. Lo spettacolo teatrale, prodotto da Teatro Rossosimona e Zahir, dopo il debutto nelle scorse settimane a Cosenza, ha aperto, al CineTeatro Metropolitano di Reggio Calabria, il Festival “Cosmos”, evento internazionale di divulgazione scientifica promosso dalla Città Metropolitana.

Un’apertura all’insegna del teatro, che – come si diceva – sintetizza l’incontro tra elementi apparentemente distanti ma che, invece, non sono altro che lo specchio dell’esistenza. Quello che va in scena, infatti, è un percorso in cui vita e scienza scorrono insieme, si incrociano, sottolineano l’una l’essenza dell’altra, anche attraverso la letteratura, i rimandi ai grandi autori, citandone i capolavori. Newton è uno strumento, con le sue scoperte ma soprattutto con il suo ricercare, di questo percorso; e la luce, lo spettro di colori, il riflesso, diventano le metafore dello stesso percorso. Spettro di colori e spettri di vita, fantasmi che si ripropongono, in un mondo che muta, insieme al protagonista.

Un percorso, dunque, che in scena si traduce attraverso un ulteriore incontro, quello tra parola – frutto appunto di grande ricerca – e interpretazione, con Orrico che modula toni, strumenti narrativi, diviene personaggio, persona, materializzazione di un pensiero che è razionalità e immaginazione, attraversando il palco e interagendo con gli altri due elementi cardine della drammaturgia scenica: le luci – e non poteva essere altrimenti -, e la musica, con Massimo Garritano che dialoga con il protagonista attraverso il suono, evocando, ricreando o dando ulteriore corpo a quel viaggio costruito dal testo. E, ancora una volta, insieme ad Orrico, danno vita ad uno spettacolo in cui la parola e la musica diventano tutt’uno, parti inscindibili di una narrazione. Che non guarda, come si accennava all’inizio, solo alla storia, ma che si riconnette a tempi successivi, e soprattuto al futuro: non a caso, sul finale, il protagonista scende in platea e, rivolgendosi alle nuove generazioni, le spinge a proseguire nella ricerca, nella conoscenza, come obiettivi fondanti dell’esistenza.