Come i versi dei poemi antichi scandivano il ritmo che connotava le gesta degli eroi, così le parole di un moderno canto epico divengono tutt’uno, come in una partitura, con la musica tecno-sperimentale, che, con il suo ritmo costante, ossessivo, cadenza quel senso di angoscia provocato dalle repressioni, dai regimi, dalle guerre. Turi Zinna dà forma alla sua visione teatrale, fatta di voce, sperimentazione, ricerca, per riportare alla luce fatti poco noti, storie che fanno la storia, come sottolinea ne “Il muro”, portato in scena nell’ambito della stagione “La casa dei racconti” di SpazioTeatro.
Uno spettacolo, una performance teatrale che supera confini e definizioni, per diventare racconto di grande impatto, che cala lo spettatore nella vicenda che vive il protagonista, facendogli sentire, vedere, quasi provare i sentimenti che animano il personaggio. Un viaggio nel dolore, nell’emarginazione: nell’agosto del 1937, un barbiere di Catania, che vive nel quartiere popolare di San Berillo, viene scambiato per un’altra persona dagli squadristi, percosso e costretto ad ingurgitare un quarto di litro di olio di ricino. La tragedia si amplifica, poichè l’uomo cerca di tornare a casa al più presto, per svuotare l’intestino, ma non può farlo: a Catania è stato eretto un muro provvisorio di legno per separare il centro dai quartieri popolari e non mostrare la miseria, nel giorno in cui Benito Mussolini è in visita alla città. Un’odissea, dunque, quella che vive il barbiere, il quale, alla fine, dopo aver vanamente cercato un bagno, finisce per defecare davanti al caffè frequentato dalla borghesia cittadina, che lo umilia. Così, si trova a percorrere un viaggio tra le strade, fino al mare, come una sorta di viaggio dentro sé e dentro l’orrore che guerre, repressioni, e muri portano. Un viaggio doloroso, in cui la dignità cerca di farsi spazio, cerca di gridare il diritto di esistere, mentre un muro vuole nascondere la realtà.
Una storia che affonda le proprie radici in una ricerca che l’autore ha condotto nel tempo e che nasce da un suo precedente lavoro, su San Berillo, il quartiere che, tra gli anni ’50 e ‘ 60, “venne sventrato e 30mila abitanti vennero spostati in periferia”.
Muri, migrazioni, emarginazione, guerra: temi che ritornano e che l’artista evoca attraverso una drammaturgia in cui, come si diceva, testo e musica si uniscono, insieme ad immagini che scorrono su due teli. Immagini storiche, di Mussolini e della città di Catania, ma anche proiezioni che evocano, lampi che danno il ritmo, che sottolineano, che martellano insieme ai suoni. La musica di Giancarlo Trimarchi scandisce le parole, modulate da Zinna attraverso un dj set. E così diventano urlo, vengono dilatate, modificate, cadenzate. E reiterate, come la frase “La guerra dilagò con tale odore”, che dà, forse più di tutte, il senso del dolore, fa immaginare, sentire quello smarrimento e il crollo delle speranze che vive il protagonista.
E’ un lavoro intenso, dunque, quello dell’autore: grandissimo, sulla voce; a livello drammaturgico, di ricerca, ma anche di costruzione della performance; ma soprattutto, un particolare, originale modo di proporre e rappresentare quella che lo stesso Zinna definisce una nuova epica. In questo, la tecnologia gioca il ruolo di strumento del contemporaneo, “oggi così pervasivo”, che viene scomposto, destrutturato, per farlo diventare qualcosa di differente, al servizio di un racconto. Una nuova epica, che si serve di nuovi strumenti per fare entrare lo spettatore in questo racconto, che diventa universale. Un’opera che non lascia indifferenti: ed è questo, in fondo, lo scopo del teatro, interrogare.