Una ricerca di identità, tra passato e contemporaneità; un viaggio tra paesi lasciati e nuovi luoghi da abitare, tra tradizione e tentativi di integrazione; un continuo muoversi tra ciò che si era, ciò che si è diventati, ciò cui si vorrebbe tornare, pur restando legati, sospesi tra due culture: ma non si torna più, in realtà, perchè si è diventati altro. È questa la “Grigia assenza” di cui parla l’omonimo spettacolo portato in scena a SpazioTeatro (nell’ambito della stagione “La casa dei racconti”) dalla Compagnia del Teatro del Sangro – Teatro stabile d’Abruzzo: prosegue, così, una ricerca che gli attori e registi Stefano Angelucci Marino e Rossella Gesini portano avanti da 11 anni, alle radici della comunità italo-argentina. Un periodo durante il quale la Compagnia si è recata più volte in Sudamerica (oltre che in Argentina, anche in Paraguay ed Urugay), venendo a contatto con gli italiani di prima, seconda, terza e quarta generazione e scoprendo un mondo di storie, di persone che lavorano nel Paese in cui sono arrivati anni prima, ma che mantengono un legame strettissimo con la cultura e le tradizioni italiane. Un mondo che Angelucci e Gesini hanno raccontato in 7 spettacoli e in molte sfaccettature, fino, appunto, a “Grigia assenza”, affrontando in questa occasione la scrittura scenica di un testo della drammaturgia argentina di origine italiana, scritto da un grande autore: parliamo di Roberto “Tito” Cossa, che in quest’opera del 1982 descrisse proprio il sentimento di “sospensione” tra due culture, di ricerca identitaria e anche di scontro tra generazioni, che questo spettacolo mette in luce. Per la prima volta, afferma Stefano Angelucci Marino – regista ed anche interprete insieme a Rosella Gesini, Paolo Del Peschio e Giordano Gasperi – la Compagnia affronta un testo dichiaratamente comico, ma comunque velato di malinconia, che sottende una profonda riflessione su questi temi, sull’emigrazione di ritorno, lo spaesamento, e lo fa utilizzando delle particolari maschere (realizzate da Stefano Perocco di Meduna): uno strumento che permette la trasfigurazione e che la Compagnia ha quasi sempre usato nel proprio repertorio, ma che in questo caso unisce la commedia dell’arte al contemporaneo.
In scena rivive una giornata di una famiglia di italo-argentini, tornati in Italia, a Roma, dove gestiscono un ristorante tipico. A portare avanti il locale è il figlio Dante, che cerca di integrarsi nella nuova realtà insieme alla moglie Lucia, mentre il padre ottantenne confonde i luoghi argentini con quelli di Roma, i ricordi della sua vita passata a Buenos Aires con un presente in cui fatica a riambientarsi, dopo essere partito giovane, insieme al fratello. Con loro, l’altro figlio, Ciccio, che non riesce (o, meglio, non accetta) di integrarsi, che legge un giornale argentino, come per tenere vivo un legame. Mentre i nipoti, i figli del ristoratore, sono ormai proiettati in un futuro differente, tra Spagna e Inghilterra, in un altro “altrove”, in un ennesimo distacco, nonostante il desiderio dei genitori di tenerli vicini perchè, ripete la madre alla figlia Frida, “sei italiana”. Il locale nel quale si svolge l’azione, tra il retro e la sala, diventa insieme il fulcro della scena e la metafora di questa “grigia assenza”, che si rifà ad un verso di un brano, “Canzoneta”, di un famoso autore italo-argentino, Alberto Marino. Proprio il tema della musica, delle tradizioni musicali e delle canzoni, diviene un’altra metafora di questa ricerca identitaria, con il nonno che non vuole partecipare al balletto folkloristico che il figlio lo costringere a mettere in scena ogni giorno, chiedendo perchè non sia possibile invece proporre una tarantella o una canzone napoletana, visto che “siamo italiani”. Stessa cosa accade quando qualche cliente importante gli chiede di cantare brani classici argentini. Momenti, questi in sala, solo evocati nel testo originale e che invece il Teatro del Sangro propone in scena come dialoghi, nella propria versione, dando una visione drammaturgica più ampia, più dettagliata della tematica, tessendo sempre la trama della commedia, venata – come si diceva – dalla malinconia, con l’idea scenica dell’argentinità recitata dagli italiani.
Tradizione e contemporaneo che sono alla base dell’incontro tra generazioni, ma anche stilistico, come dimostra sia la drammaturgia, ma anche, appunto, la scelta delle maschere. Una scelta che sottolinea lo stile, coinvolgente e diretto, che culmina nella scena finale, in cui il dramma emerge nel ricordo confuso del nonno, che riunisce, tra verità e speranza, tutto il senso di una storia e di un percorso. Uno stile che trova perfetta resa attraverso le interpretazioni: da quella di Stefano Angelucci Marino, nei panni del nonno, a Rossella Gesini, in quelli della nuora Lucia, a Paolo Del Peschio, nel doppio ruolo della nipote Frida e del proprietario del ristorante, a Giordano Gaspari, in quelli di Ciccio. L’intero cast calibra, dunque, con sapienza i diversi toni ed utilizza una lingua e cadenze che viaggiano tra le due culture, mostrando così la profondità della ricerca della Compagnia abruzzese, con questa nuova tappa del loro percorso.
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Paola Abenavoli
Paola Abenavoli, giornalista, critica teatrale e cinematografica, studiosa di storia della tv. Autrice dei saggi “Un set a sud”, “Sud, si gira” (titolo anche del primo sito su sud e audiovisivo, da lei creato), e “Terre promosse”. Già componente del Consiglio superiore dello Spettacolo, fa parte di Associazione nazionale critici di teatro, Rete critica e Sindacato nazionale giornalisti cinematografici.