Se immaginate un classico concerto all’insegna della nostalgia, con due big degli anni ’60-’70 che ripropongono “semplicemente” i loro più grandi successi, forti di quanto realizzato in passato, ma senza chiedere o concedere null’altro al pubblico…ecco, allora non state immaginando il tour che Maurizio Vandelli e Shel Shapiro stanno proponendo in tutta Italia e che ieri sera ha infiammato il pubblico di Catonateatro. Un pubblico così entusiasta e coinvolto non si vede spesso: ma non avrebbe potuto essere altrimenti, per questo “Love and peace“, che, appunto, è qualcosa di più di un salto nella memoria.
Certamente nasce da un’operazione (anche Vandelli la definisce così sul palco) costruita, ma ben costruita, ben realizzata, per ricreare in scena una sorta di percorso storico-musicale dei nostri anni, che non guarda al passato come qualcosa di lontano, ma come una speranza ancora viva nei protagonisti, quella speranza di cambiamento che caratterizzò una generazione e che, seppur forse infranta, è ancora viva nei cuori di chi ha vissuto quell’epoca e intende trasferirla al pubblico, anche e soprattutto con la musica. Quel “love and peace” di cui – evidenzia Shel – c’è ancora tanto bisogno. E Shapiro e Vandelli incarnano questa forza, questa energia che si trasferisce attraverso le loro parole, le loro note, le loro canzoni: il tempo sembra essersi fermato e quando imbracciano le chitarre, insieme ad altri tre straordinari musicisti (Gian Marco De Feo e Daniele Ivaldi alle chitarre acustiche ed elettriche e Massimiliano Gentilini al basso), si assiste ad un vero e proprio concerto rock, in cui le differenze di età si annullano e risuona soltanto la musica vera. Quella che guarda ai loro successi, che parla di Battisti e di Dalla, ma che si snoda – come si diceva – anche attraverso un racconto di quegli anni scandito dalle canzoni: e allora ecco che risuonano anche gli echi dei Beatles, di Dylan, di Guccini. Senza disdegnare il sound contemporaneo, come quello dei Rem.
Anima e look rock per Shapiro, grande voce e ironia per Vandelli, gli artisti sul palco danno vita ad estemporanei e divertenti dialoghi, che rinverdiscono giocosamente la rivalità del passato. Il duello a suon di capolavori non ha vincitori, infatti, se non la musica stessa: ed ecco allora “scontrarsi” all’inizio “Ma che colpa abbiamo noi” e “Tutta mia la città”, passando da “Un angelo blu”, “4 marzo 1943”, “Bang bang”, “Casa mia”, “Nel cuore e nell’anima”, fino agli attesissimi “C’è una strana espressione nei tuoi occhi”, “29 settembre”, “E’ la pioggia che va”, “Ho in mente te” e “Bisogna saper perdere”.
Ma, si diceva, non è un classico concerto, non è solo la riproposizione di evergreen: tutto è costruito quasi come uno spettacolo teatrale, nulla è lasciato al caso, in un racconto di un tempo che arriva fino ad oggi, senza – appunto – nostalgia. E per creare tutto questo, oltre alla grande professionalità dei protagonisti ed al talento dei musicisti, ci si è avvalsi – con una grande regia – di proiezioni che costituiscono il racconto insieme alle note; di veri e propri quadri scenici, più raccolti o più rock; di arrangiamenti innovativi di ogni singolo brano proposto e anche dell’uso dei cori originali di canzoni memorabili. Uno spettacolo vero e proprio, non retorico, ma autentico: e il contesto teatrale esalta maggiormente questo aspetto. Come nel momento forse più intenso della serata, quello in cui si recuperano quei sogni e si riportano alla luce, come lo storico “I have a dream” di Martin Luther King che echeggia e si legge alle spalle dei cantanti, insieme a tante parole di un passato ancora oggi attuale, mentre il “magnifico duo” intona capolavori come “Blowin’ in the wind” o “California dreamin'”.
Il pubblico sembra in simbiosi con gli artisti, è conquistato dalla voglia di credere ancora nei sogni e da quelle note, che non sono solo richiamo alla giovinezza, ma grande grinta e voglia di essere protagonisti. Come quei due ragazzi rock che sul palcoscenico scherzano, suonano e intonano hit, trascinando una platea in delirio.