Un’irrefrenabile musica, che sa variare i suoi timbri, i suoi ritmi, sa essere frutto di contaminazioni, sa coinvolgere unendo anche melodie, improvvisazioni, effetti vocali a quelli strumentali, per raccontare – come in un percorso in cui il suono diventa parte integrante, e non solo e non tanto sottolineatura, dell’immagine – una storia di vita e di arte come quella di Tina Modotti.
Un’apertura davvero entusiasmante, quella del Reggio Calabria Top Jazz Festival: la rassegna promossa dall’Associazione culturale jonica, in collaborazione con la rivista Musica Jazz e con il Comune, ancora una volta non delude le aspettative e, per la sua terza edizione, offre un avvio – in un teatro Cilea che ospita tanti appassionati del genere – certamente coinvolgente.
Sul palco anche quest’anno alcuni tra i migliori musicisti, eletti da un sondaggio proposto proprio dalla rivista Musica Jazz: e ad esibirsi per primo è il vincitore per la categoria “ance”, Francesco Bearzatti (nella foto), che con il suo quartetto dà vita appunto ad un viaggio nell’opera di Tina Modotti. Un progetto unico: e non solo per la scelta di proporre in musica il ricordo di questa artista, ma anche per la musicalità unica, quella unione di sensibilità, di innovazioni, di coinvolgimento che supera la tecnica per essere un tutt’uno con le immagini realizzate dalla fotografa e proiettate sullo sfondo.
E’ proprio vero che Bearzatti e gli altri musicisti sfuggono a catalogazioni: il clarinettista e sassofonista, in un continuo dialogo, soprattutto con lo straordinario ed eclettico trombettista Giovanni Falzone, “vive” le melodie, le improvvisazioni, i passaggi in cui il ritmo diviene preponderante ed incessante, accompagnato dalle interpretazioni del bassista Danilo Gallo, inventivo e irrefrenabile, così come il batterista Zeno De Rossi.
Un viaggio che si apre sul ritratto della stessa Modotti e con suoni che ricordano la vita quotidiana il quartetto “Tinissima” ci conduce attraverso strade, paesi. Quelli del Friuli, da cui partì la fotografa. Di seguito, sono le sonorità del jazz americano, quelli che rimandano a New Orleans, a farci addentrare negli States, per portarci poi, con tratti dolorosi, a guardare volti, di bimbi, di operai, la povertà. Ancora volti, quelli che la Modotti incontra in Messico: un Messico rievocato all’inizio attraverso altre sonorità tipiche, ma che dopo, come in altre parti della suite, lasciano spazio all’incontro tra ritmo, improvvisazione, intensità. La musica di Bearzatti sa poi farsi dolente, o evocare attraverso differenti suggestioni o riferimenti (la marcia scandita dalla batteria, le “voci” lontane dei popoli, che si assommano poi nell’ultima parte della suite, quella punteggiata dalle varie parti del più celebre quadro di Picasso, quel Guernica che poi si staglia alla fine sullo schermo). Fino alle parole di Neruda che costituirono l’epitaffio della Modotti, accompagnate da una musica che non ha mai un cedimento, che è un racconto senza soluzione di continuità, pur pervaso da diverse atmosfere. Una ricerca che però diviene naturalezza espressiva, nell’essere un tutt’uno tra arti.
Un progetto, dunque, che ha colpito il pubblico del Cilea, seguito poi da un altro quartetto d’eccezione: quello formato da Rosario Giuliani (che ha sostituito Enrico Rava), Dado Moroni, Roberto Gatto e Paolino Dalla Porta. Insomma, quattro tra i migliori jazzisti italiani: ancora una volta, dopo l’esibizione degli anni scorsi, Gatto continua ad entusiasmare e stupire per la fluidità di esecuzione e per la naturalezza (un aggettivo che ripetiamo, ma è quasi d’obbligo) di improvvisazione; per non parlare degli altri, da Moroni a Dalla Porta, allo stesso Giuliani, che ha proposto anche un brano inserito nel suo nuovo cd “Lennies Pennies”.
Grandi nomi, grande musica, dunque. Ed è solo l’inizio.