Una serata straordinaria di musica e teatro, quella che ha chiuso l’edizione 2011 del Top Jazz Festival. In un “Cilea” insolitamente gremito fino al terzo livello di palchi, si sono susseguiti tre concerti, tre esibizioni, differenti per stile e proposte, ma unite da una grande arte.
A chiudere, dunque, una settimana che ha visto alternarsi sul palcoscenico del teatro reggino i maggiori jazzisti italiani, ancora grandi nomi: a partire da Luca Aquino, giovane talento, trombettista che si cimenta in un jazz innovativo, sempre alla ricerca di nuove sonorità, nuove invenzioni, anche partendo dalla tradizione, da brani “classici”, come quel breve accenno a “Over the rainbow” che ha concluso il suo assolo.
E poi spazio ad uno dei più grandi pianisti italiani: dopo l’incontro tra jazz e opera, che ha contrassegnato la sua esibizione all’ultima edizione di Roccella Jazz, sul palco del “Cilea” Danilo Rea ha proposto un particolare viaggio nella musica di De Andrè. Anche in questo caso, uno stile ne incontra altri, partendo da una “destrutturazione” dei brani che nasce, naturalmente, da una grande conoscenza musicale, da una musicalità innata, da una creatività ed una tecnica unici. Ed è così che si può passare dalla “Canzone di Marinella” a brani partenopei e brasiliani, o da “Via del Campo” a “Here comes the sun”. Sembra quasi che le mani di Rea vengano trascinate sul pianoforte dalla stessa musica, che varia senza che nemmeno lo spettatore se ne renda conto. Come a testimoniare, anche in questo caso, che la musica è una, che le armonie si intersecano e ci fanno percorrere sentieri che in realtà sono, appunto, uniti dal comune denominatore della “buona musica”, oltre gli stili e gli schemi.
Oltre gli stili, unendo teatro, tradizione musicale, rivisitazione moderna e soprattutto grandi doti interpretative: è la “firma” di Peppe Servillo. Più di un musicista, più di un attore, un artista completo che ha la capacità di imporsi sul palcoscenico, di calcarlo come un gigante, di diventare quasi tutt’uno con le note, con la musica che canta. Anzi che interpreta, fisicamente; che trasmette al pubblico, emozionandolo, come nel caso, ad esempio, dell’esecuzione di “Dicitencello vuje”, autenticamente da brividi. Servillo ha infatti proposto una sua particolare lettura delle canzoni napoletane, grazie anche agli innovativi arrangiamenti del “Solis string quartet” (particolare: sul palco c’erano tutti vincitori del Festival di Sanremo, Servillo con gli Avion Travel, i musicisti con Elisa). Jazz, echi classici, ritmi di bolero che si alternano a parole immortali, che diventano teatro con la mimica e lo stile proprio di Servillo. Ironico, magnetico, chiude questo festival al “Top”.