Guardare un film muto degli anni ‘20, anzi non un semplice film, ma uno di quelli che hanno fatto la storia del cinema; scoprirlo o riscoprirlo, nella sua modernità di forme e di contenuti, nella sua attualità tematica, nella grandezza visionaria, nella regia all’avanguardia; e ammirarlo mentre due tra i più grandi pianisti jazz accompagnano con le loro note, improvvisando, quelle immagini. Senza sentire uno stacco, una cesura tra immagini e note, venendo trasportati, quasi senza accorgersene, in un mondo lontano, dove i suoni si integrano perfettamente con quella pellicola. E, tutto questo in un teatro dove musica e cinema si uniscono, apprezzati da spettatori, giovani e meno giovani, appassionati e incuriositi, e soprattutto che gremiscono il Cilea in ogni ordine di posti. Tutto questo è accaduto in una delle “magiche” serate del Top Jazz: una di quelle serate in cui ti rendi conto ancora una volta di quali incanti è capace la cultura e ti fa piacere esserne partecipe.

Un cinema che non sembra lontano, quello di Fritz Lang e del suo Metropolis, un cinema che già sapeva guardare alla condizione dei lavoratori, con uno sguardo che univa realtà e fantasia, ponendo il racconto, visivo e non, in primo piano; un cinema che parla attraverso le immagini, ma in questo caso anche attraverso la musica. Una musica che nasce di getto, da un dialogo tra due artisti, Danilo Rea (nella foto in alto) e Rita Marcotulli. Artisti che suonano guardando quelle scene, e mettendo la loro creatività, l’emozione che quelle scene suscitano in loro, in note. Mai sovrastando le immagini, mai distaccandosene, ma seguendo quel flusso di emozioni, non in maniera didascalica o ridondante, ma emozionale e creativa, unendo tecniche e ritmi, rimandando a melodie note (come quella di West Side Story, quando sullo schermo si racconta la storia d’amore tra i protagonisti), ma facendole comunque proprie. E’ qualcosa di magico, appunto, che riporta al passato, ma non ce lo rende distante, anzi più che mai attuale, nel saper tradurre con semplicità ingiustizie, dolori, sentimenti propri anche dell’oggi.

Un grande momento culturale, dunque, seguito da un altro concerto doc: quello di Paolo Fresu, affiancato da Bojan Z.. Echi balcanici nella musica di quest’ultimo artista, dal sapiente tocco pianistico, capace di suonare contemporaneamente un classico pianoforte a coda ed uno elettrico, fondendo nuovo e tradizionale ma senza che lo spettatore quasi se ne accorga. Il tutto mentre il trombettista Fresu, ancora una volta, trasporta, attraverso note calde, attraverso una sonorità che riporta al jazz più morbido e coinvolgente, in un viaggio musicale affascinante. Grande classe, ma anche grande ricerca, dialogo improvvisativo praticamente perfetto tra i due: e alla fine non può che esserci un bis.