Tra le proposte del Top Jazz Festival, una tra le più originali è sicuramente quella che vede la proiezione del film Metropolis, con le musiche eseguite da due tra i migliori pianisti jazz italiani: Rita Marcotulli e Danilo Rea.
Proprio con la pianista romana abbiamo parlato di questo progetto, ma anche di musica più in generale e del rapporto tra comunicazione e cultura.
Come nasce il progetto?
“La prima volta che lo abbiamo proposto con Danilo è stata a Roma, a Castel Sant’Angelo, nel corso di una rassegna di film muti.
Ci sono tante versioni di Metropolis, ce n’è anche una di oltre due ore. Il film è una meraviglia delle meraviglie: a Reggio lo proporremo in una versione ridotta, di circa 70 minuti. Siamo contenti di farlo, con Danilo poi c’è una stima, un’amicizia”.
Pensa di ripetere questo tipo di esperienza?
“Proprio adesso sta uscendo una nuova collana dell’Espresso, un omaggio ai film muti. In questo caso, mi hanno dato da musicare “Nanà”, un film del 1926. Danilo ha musicato “Nosferatu”. Sicuramente per me è una cosa bella, perché diciamo che il mio sogno un po’ è sempre stato fare la musica di film. In questo periodo lavoro molto con i film: prima Nanà, poi quello di Rocco Papaleo, Basilicata coast to coast, opera prima sia per lui che per me”.
Che esperienza è stata?
“Bellissima, perché Rocco è una persona straordinaria, anche musicista, le canzoni le ha scritte lui. Capisce molto, ama molto la musica jazz, improvvisata, ma non solo: quindi ci siamo trovati bene, perchè lavorando con una persona competente di musica non è difficile, è molto più facile. Ci siamo trovati in perfetta sintonia. Poi è divertente, è simpatico; è stato anche molto piacevole conoscere Giovanna Mezzogiorno, gli altri attori. Insomma, è stata una bellissima esperienza”.
L’idea potrebbe essere anche quella di continuare su questa linea?
“Lo spero, mi piacerebbe tantissimo. Ripeto, era un po’ il mio sogno nel cassetto. Quindi, se si avvera e continua sono ben contenta, perché quando compongo io immagino sempre delle cose, secondo me la mia musica è descrittiva. Prima di tutto ciò, nel ’92, avevo fatto un omaggio a Truffaut, un disco ed uno spettacolo che sto portando in giro, anche in questo caso con delle immagini dei film. Quindi, era partito da lì, perché il mio amore, dopo la musica, è sicuramente il cinema. Poi non è un caso, perché mio padre era un tecnico del suono che ha lavorato con musiche di film con Morricone, Nino Rota. Era un po’ scritto sul copione!”
Che ne pensa, dunque, dell’unione tra arti diverse, tra musica, cinema, teatro, di cui anche Roccella Jazz ha fornito esempi?
“Credo che sia una cosa fondamentale per ogni artista. L’arte è un mezzo di espressione, un modo di esprimersi. Personalmente ho sempre amato questo connubio: ho lavorato non solo con il cinema, ma anche con la danza contemporanea, per esempio, o con la scultura. Insomma, sono sempre stata molto incuriosita, perché mi stimola delle sensazioni. Sarebbe importante avere questa fusione e questo scambio, culturale, tra diverse arti, diverse forme: sono tutte cose che alimentano un vocabolario che si amplifica e poi è più semplice riuscire a tradurre ciò che uno sente”.
A questo proposito, come si diceva, ci sono state delle esperienze di questo genere a Roccella. Volevo chiederle una sua opinione sia sul Top Jazz che su Roccella Jazz, che compie 30 anni.
“Per quanto riguarda Roccella, spero assolutamente che continui, è un festival bellissimo, conoscendo gli organizzatori so quanta fatica fanno per riuscire a tenerlo in piedi, perché è sempre più complicato, si sa che purtroppo viviamo in un momento non facile, anche dal punto di vista economico, di tagli, ecc. Però è veramente da premiare, lo conosco, lo conoscevo dall’inizio e poi ho visto come si è sviluppato, il bellissimo anfiteatro, quanta gente viene a vederlo. Insomma, mi auguro e spero che continui almeno per altri trent’anni! Il Top Jazz è anche un modo di fare conoscere pure dei musicisti giovani, oltre a quelli noti”.
Vede un rinnovato interesse da parte dei giovani nei confronti del jazz?
“Vedo che in Italia stiamo vivendo un momento molto felice, perché ci sono davvero tantissimi ragazzi, giovani veramente bravissimi, preparati, davvero c’è una alta preparazione: mi auguro che abbiano lo spazio giusto che meritano, i posti per poter suonare, perché purtroppo è sempre più difficile. Quando nascevamo noi, quelli della mia generazione, c’erano molti più posti per fare jazz, siamo riusciti a confrontarci con tanti musicisti: ora sicuramente è un po’ più complicato, perché purtroppo il gestore fa chiaramente sempre i conti con il portafogli, per cui se uno giovane non ha nome, non riempie, magari non viene invitato. Sicuramente un pochino di aiuto in più ci vorrebbe. Posso proporre: un nome nuovo e un nome già famoso, in modo che il nuovo talento possa avere la possibilità di farsi ascoltare. Comunque consiglio sempre, come ho fatto io peraltro, di uscire dall’Italia e di andare a vedere cosa succede negli altri Paesi, perché comunque quella è una ricchezza, dal punto di vista musicale si cresce”.
Su questo blog abbiamo lanciato un dibattito sul rapporto tra comunicazione e cultura: quale la sua opinione su questo tema?
“E’ chiaro che viviamo in un momento di apparenza, non è tanto la qualità che vince quanto la quantità, purtroppo. Il jazz è diventato una musica un po’ più “di moda” di prima, è molto più ascoltata e questo ci ha fatto piacere ed anche un po’ gioco, nel senso che i giornali magari adesso ne scrivono di più. La televisione purtroppo è quella che è, non abbiamo nessun tipo di aiuto in questo senso. Le cose di qualità non si vedono mai. Io quando giro, faccio l’esempio della Francia ma anche in altri Paesi, vedo tanti programmi sull’arte, sulla musica, sui concerti, da noi non se ne vede più traccia, se non le solite cose. E poi vorrei veramente dire: per quale motivo la musica in Italia è considerata solo forma canzone? Noi abbiamo una cultura di musica classica, per quale motivo non fare allora delle gare di musicisti?”.