E’ un giovane artista, nato a Reggio, che porta avanti una propria ricerca musicale. Che punta sull’innovazione e l’originalità. Adriano Modica è in procinto di pubblicare il suo nuovo disco: gli chiediamo di parlarcene e di descriverci le novità rispetto alla sua predente produzione.
“Si chiama ‘La sedia’, ovvero l’album di legno – ci spiega Modica – terzo ed ultimo capitolo di una trilogia dei materiali di cui fanno parte ‘Annanna’ del 2005 e pubblicato nel 2008 e ‘Il fantasma ha paura’ del 2007, rispettivamente album di stoffa e di pietra. La novità rispetto ai due precedenti è che non lo registro in studi professionali ma da solo nel mio studio mobile ambulante; lo registro alla vecchia maniera, ovvero con registratore a bobine, segreterie telefoniche e vecchi apparecchi a valvole recuperati in questi anni; ho una specie di malattia degenerativa per il suono dei dischi di cinquanta o sessanta anni fa. Riguardo a novità stilistiche ci sono una serie di evoluzioni, un uso diverso della voce, introduzione di strumenti che non avevo mai usato prima come archi, fiati, cori, vibrafono, mellotron, bicicletta…”
Anche nel tuo sito (www.adrianomodica.it) parli del progetto di una orchestra, con collaborazioni anche eccellenti: puoi spiegarci nel dettaglio?
“Effettivamente c’è aria di novità. Ci sono nuovi elementi nella formazione ufficiale per il live e molti ospiti amici, noti, meno noti e più o meno noti: l’artista inglese Duggie Fields, Enrico Gabrielli (Mariposa, Afterhours, Morgan, Muse, ecc ), La Piccola Orchestra Che Ho in Testa e il Coro Acrobatico Delle Voci Nell’armadio, un collettivo che comprende persone raccolte in una vita, sparse in giro per l’Italia, che andrò a registrare a domicilio. Ho pubblicato sul mio sito un ‘diario della sedia’ con foto ed estratti audio e video delle sessioni di registrazione e ‘cinque oggetti che portano alla sedia’, cinque ‘trailer’ che introducono concettualmente all’album, realizzati con Saverio Autellitano, che cura anche il sito”.
Come definiresti il tuo stile musicale? Quali sono gli stili e gli artisti a cui ti ispiri?
“Credo si possa definire pop contaminato da qualsiasi cosa presente sul pianeta e non solo. Mi ispiro alle cose che mi piacciono e sono tante, ma sicuramente alla base ci sono dei punti di riferimento ben precisi: il cantautorato italiano di certo Dalla vecchio, di Tenco, di Ciampi, di Battiato e di De Andrè; anche molto di quello che ha sfornato l’Inghilterra dagli anni ’60, primi tra tutti i Pink Floyd, Syd Barrett, Nick Drake e i Beatles e poi adoro Leonard Cohen”.
Come vedi oggi il mondo della musica italiana e le possibilità per i giovani artisti di fare conoscere la loro musica?
“Lo vedo veloce, troppo veloce per me: c’è spazio per tutti ma poco e per poco tempo, i mezzi di divulgazione sono alla portata di tutti e tutti si fiondano nella mischia per farsi vedere. La possibilità per tutti è una cosa bella, ma non hai il tempo di affezionarti a niente; vince la cosa immediata su quella da scoprire lentamente, non c’è più il gusto ne’ la pazienza ne’ il tempo per fermarsi a capire e scoprire. Non c’è più tempo per niente. Io non trovo l’immediatezza un requisito imprescindibile per la bellezza di qualcosa. Trovo anche spiacevole l’esterofilia esasperata dell’italiano medio.
Per quanto riguarda i posti per far vivere la musica beh, si sa che i soldi sono sempre meno per cui tutto risente di questo: i locali sono sempre di meno, non si può pagare un gruppo di quattro persone che ha bisogno di spostarsi, di un impianto, di un back line, di vitto e alloggio per cui si punta al solista chitarra e voce che viaggia in treno e dorme sul divano dell’organizzatore o al dj che si piazza lì al pc e manda musica”.
Quale il tuo rapporto con la tua città? Pensi che ci sia spazio per diffondere stili musicali nuovi al sud?
“Siamo alle solite: gli spazi a Reggio in cui poter fare musica sono delle meteore che dobbiamo sempre agli sforzi di un singolo o di un piccolo gruppo che deve lottare contro tutto e tutti e che il più delle volte viene schiacciato dall’ignoranza.
Il mio rapporto con la mia città è che la amo, ma per continuare ad amarla ogni tot di tempo me ne devo scappare per un po’”.