Una grande sensibilità, unita ad uno stile immediato, che arriva subito al cuore, ma anche accurato in ogni singola parola. E temi che svelano un mondo interiore, ma nei quali è facile riconoscersi. E’ il “sogno piccolino” di Mariagrazia Ferrante, quello di un libro che raccoglie le sue poesie – in lingua ed in vernacolo reggino – che riflettono un’umanità, momenti di vita, senza retorica e con una fluidità di racconto che, come si diceva, arriva subito al cuore del lettore. Una passione autentica per la poesia, che ha dato vita negli anni scorsi anche a “Un bouquet di fiori rossi”, per il quale l’autrice ha ricevuto il premio Anassilaos.
“Un sogno piccolino” (edizioni Laruffa) – presentato sabato 27 aprile, presso la libreria Laruffa, con l’intervento dell’avvocato Francesco Federico – racchiude questo mondo interiore di Mariagrazia Ferrante e fa scoprire il suo modo di approcciarsi e guardare alla realtà che ci circonda, il suo sguardo sul mondo, a partire dalle piccole cose – o meglio, da quelle piccole grandi cose che punteggiano il nostro vivere – per soffermarsi poi molto sulla famiglia, sugli affetti, sulle amicizie, sulle persone, sui sentimenti.
Tutti elementi che sono sicuramente parte di un mondo intimo, proprio della poetessa, ma nel quale, come si accennava in precedenza, tutti possiamo riconoscerci: ecco, queste poesie sono strumento per conoscere, ma anche per conoscersi, attraverso le sue parole.
Parole scelte con cura, ma rese con una fluidità, con uno stile che ci fa arrivare con immediatezza le immagini dell’anima.
Uno stile che spazia, appunto, dalle poesie in lingua a quelle in vernacolo, con la stessa forza e con la stessa sapienza, con grande umanità e sensibilità.
A volte con tocchi ironici e con interessanti ed inedite metafore della vita: come quella di “‘U mercanti in fiera”, con l’attesa e lo stupore nello scoprire nuove carte, o quella, davvero molto bella, di “A valigia”, che ci fa riflettere sul tempo che passa e sui rapporti tra le persone, su come si viene visti e considerati. O ancora, la splendida “L’arburu”(“E non sacciu si ssu’ megghiu i rimpianti…O campari ppojatu nt’o muru”). Un approccio alla poesia in vernacolo che è nato solo da qualche anno, come rivela la stessa autrice, ma che ha prodotto versi e, appunto, metafore davvero incisivi.
E poi, per citare solo alcune delle opere in lingua, l’intensità dei versi de “L’arcobaleno”, di “Saldi”, de “La luce”.
Uno stile, dunque, che arriva diretto, che scaturisce certamente con spontaneità, ma che mostra una grande cura per la parola, quella che riesce a trasferire meglio un sentimento; anche, come nel caso delle poesie in vernacolo, con la scoperta di termini bellissimi, che sintetizzano stati d’animo, atteggiamenti, azioni: su tutti, “rundio” (in “Anima in pena”), che colpisce per la capacità di rendere quel girovagare per le stanze, senza sapere cosa fare.
Uno stile proprio, intenso, si diceva. Mai chiuso in un ermetismo che potrebbe allontanare il lettore: anzi, l’autrice ci fa entrare nel suo animo, nel suo sguardo sul mondo. Potremmo dire, riprendendo il bellissimo titolo del libro, nel suo sogno piccolino, quello di mostrare questo sguardo sul mondo anche agli altri e di sognare con l’autrice. Quel sogno che solo la poesia può evocare.