Uno degli autorevoli relatori del convegno sulla letteratura promosso da Pietre di Scarto è stato lo scrittore Eraldo Affinati. Un autore notissimo, che era già stato in riva allo Stretto qualche anno fa per presentare uno dei suoi libri più belli, “La città dei ragazzi”, un affascinante percorso attraverso la sua personale esperienza di educatore tra giovani provenienti da varie parti del mondo.
Uno scrittore vicino ai giovani, dunque, che nel corso della prima giornata del convegno ha proposto alla platea, con il suo stile semplice, diretto e coinvolgente, il suo “maggiore”, ovvero la figura di Dietrich Bonhoeffer. E in una intervista ci spiega il motivo di questa sua scelta, oltre ad anticiparci il tema del suo prossimo libro.
“Ho scelto la figura di questo grande filosofo protestante che fu fatto impiccare da Hitler nel ’45, pochi giorni prima della fine della seconda guerra mondiale, perché innanzitutto ho scritto un libro su di lui, è una figura che mi ha molto colpito, sin dall’epoca in cui andai ad Auschwitz nel ’95, da cui ricavai un altro mio libro, “Campo del sangue”. Mi ha colpito soprattutto il concetto di responsabilità, che lui più volte afferma nel corso dei suoi numerosi libri. L’idea di una responsabilità che possa uscire dal mansionario, che non sia limitata al ruolo professionale della persona, ma una responsabilità che coinvolga lo sguardo altrui. Questo lui diceva: cioè prendersi cura dello sguardo altrui significa essere responsabili anche dei contesti dentro i quali operiamo. Quindi non soltanto il lavoro che svolgiamo, la professione che facciamo, ma proprio l’ambiente in cui viviamo. Ecco, questo era il concetto che sin dal ’95 mi aveva molto colpito di Bonhoeffer. In Bonhoeffer c’è l’elemento religioso, però c’è anche un elemento pedagogico fortissimo, e anche letterario, e sono tre fattori, tre elementi nei quali mi riconosco”.
Lei lavora con i giovani ed in questo convegno è presente una platea formata in gran parte da giovani: quali sono, secondo lei, i punti di riferimento letterari dei giovani, oggi?
“Oggi diciamo che i ragazzi, secondo la mia esperienza, hanno una formazione più che letteraria, visiva. Partono dagli schermi, schermi in senso generale, non solo il cinema, ma anche il cellulare, lo schermo del computer, quindi hanno una mente diversa, rispetto a quella che avevano i loro coetanei quindici, vent’anni fa. Ci sono sempre, fra i giovani, delle attitudini letterarie, perché è chiaro che ci sono. Credo che ogni generazione non sia migliore o peggiore della precedente, cambiano le forme, però. Quindi oggi i giovani possono avere delle gerarchie letterarie diverse da quelle che magari avevamo noi. E quindi sono più imprevedibili: puoi trovare un ragazzo che magari ha letto i grandi classici, puoi trovarne un altro che sia informato sul cinema e sul teatro, o su esperienze di tipo più esistenziale. Quindi non si può dire oggi, secondo me, quali siano in generale gli scrittori di riferimento dei giovani. Dipende dalla persona che abbiamo di fronte, dai contesti, dall’educazione che hanno ricevuto”.
Ma quanto è importante oggi avere comunque dei punti di riferimento letterari, di vita?
“Per me è molto importante. Il mio prossimo libro sarà una storia della letteratura italiana, a partire dai luoghi, dai luoghi della letteratura italiana, da San Francesco a Pasolini. Ad esempio, sono stato nella Napoli di Leopardi, nella Londra di Foscolo, nella Calabria di Campanella, nella Sicilia di Pirandello, ed ho visto questi luoghi come sono oggi, e quindi ho fatto come dei reportage, però per ogni reportage in fondo c’è anche un’analisi del testo letterario di quello scrittore che ho scelto, i nostri grandi classici, da Dante a Petrarca ad Ariosto a Tasso. Questo per dire fino a che punto credo nei punti di riferimento. E’ necessario continuare a tenere presente quelli che sono i nostri grandi maestri, altrimenti non possiamo nemmeno dirci italiani, a mio avviso, se non capiamo bene che cosa è la letteratura italiana. Credo che ci sia la necessità di ritornare a questa tradizione”.