Guardare ai territori attraverso l’arte, al recupero di luoghi e dell’incontro con le comunità, in percorsi in cui il teatro, le narrazioni, diventano gli strumenti di lettura del passato e del presente, per porre le basi per il futuro. ” Teatro, comunità e desiderio di esplorare il territorio attraverso nuove forme di linguaggio artistico” sono, infatti, i punti cardine del progetto “Picitti stories”, ideato dall’associazione “ConimieiOcchi”, cofinanziato dalla Regione Calabria, e giunto quest’anno alla seconda edizione.
Un’edizione di successo, denominata “Picitti Stories – Tempo Presente”, conclusasi qualche settimana fa: mentre il primo anno si è guardato “al passato, partendo dal quartiere Picitti, un tempo cuore pulsante di queste terre” e coinvolgendo “la comunità acrese in un canto d’amore delle rimembranze della vita di un tempo – spiegano Francesco Votano e Maria Grazia Bisurgi, coordinatori del progetto – ricca di attività, tessitura, agricoltura, artigianato, una vita anche povera e difficile, con estrema assenza di denaro e comodità primarie che, con la trasformazione dei bisogni e delle offerte proposte dallo sviluppo del dopoguerra, ci hanno portati nel tempo presente”, nel 2019 si è invece guardato al presente. “Il borgo più antico di Acri diventa simbolo di un’Italia che scompare, ferita dall’abbandono delle aree interne. Gli scorci antichi di città e paesi, diventati spesso luoghi “fantasma”, oggi ci spingono a una riflessione profonda sulle migrazioni. Così il fascino delle case diroccate, sventrate dal tempo e immerse nel silenzio, diventa protagonista di questo viaggio”. “L’obiettivo della nostra ricerca – afferma Maria Grazia Bisurgi, presidente dell’associazione – è aprire un nuovo sguardo attraverso l’arte e l’incontro con la comunità. Guardare, quindi, con nuovi occhi il tempo presente”.
Il progetto – realizzato in partenariato con il Comune di Acri, il comitato Pro Centro Storico, la Fondazione Padula, l’associazione LiberAccoglienza, la FIDAPA, Legambiente Acri – si è articolato in diversi momenti: a partire dal laboratorio “La voce delle cose”, incentrato sullo studio, attraverso la drammaturgia teatrale, di cosa oggi rappresentino gli oggetti nel quotidiano di chi vive queste terre. Per proseguire, poi, con un laboratorio di turismo ispirazionale, che ha coinvolto l’I.T.C.G.T. “G.B. Falcone”: alcune studentesse hanno presentato il loro progetto di turismo esperienziale “A new life in Acri” nel corso dello spettacolo finale di “Picitti stories”. Un progetto che ha il duplice obiettivo “di attrarre persone sul territorio acrese, valorizzando il quartiere Picitti e le tradizioni acresi e, allo stesso tempo, portare fuori dai nostri confini quest’esperienza per stimolare altri viaggiatori a raggiungere Acri”. Un’idea che si ispira a progetti già esistenti al Sud e alla quale hanno collaborato i migranti della Casa di Abou Diabo.

E ancora: un laboratorio pedagogico teatrale, con gli alunni dell’Istituto “Padula”, plesso Cappuccini.
Quindi, la residenza artistica e lo spettacolo finale, che ha sintetizzato il senso di un lavoro molto profondo e interessante: la sintesi, dunque, di un percorso che parte da una domanda, ovvero “come viviamo il tempo presente?”. Da qui, una ricerca che ha unito diverse forme artistiche – storytelling, videoarte, soundscapes, teatro – in una performance che ha coinvolto l’intera comunità acrese e che si è sviluppata in un percorso itinerante suddiviso in tre momenti, ovvero Tempo presente, Immaginazione/trasformazione, La fiaba, anticipati da un’anticamera che ha accolto il pubblico con l’installazione di un tavolo su cui erano adagiati diversi oggetti recuperati dalle case abbandonate. Recupero, riparazione di qualcosa che si è rotto.
Si parte, dunque, dal tempo presente: un tempo illustrato da diverse forme espressive, che ci portano in un momento storico, quello che stiamo vivendo, in cui la memoria è fatta dagli oggetti che ormai la contengono, dunque la multimedialità, i social, gli smartphone, in una sorta di alienazione dell’uomo, che invece si sente protetto in questo ambito. Un persente illustrato anche attraverso le videoinstallazioni, che raccontano “miseria e bellezza di queste terre, mentre le voci dei giovani intervistati, con le loro riflessioni sul tempo presente, hanno scandito le immagini e aperto interrogativi sul restare o andare altrove”. Ovvero il punto cruciale, il “grande dilemma per chi vive in queste terre”. Questo primo ambiente si è chiuso con un coro di signore anziane e il loro “lamento”, incentrato sulla frase “un c’è ‘nenti, chine te senta”.
Dall’analisi del presente si può passare al riscatto: un obiettivo affidato “alle parole di Peter Handke nell’Elogio all’ infanzia che ha trasportato gli spettatori verso un nuovo momento scenico. Qui, attraverso il Teatro d’ Oggetti, si è esaltata la capacità della trasformazione attraverso il potere immaginativo”. “Quando il bambino era bambino” è il testo recitato dall’attrice Laura Marchianò: “Se si sceglie di cambiare il punto di vista, di togliere le maschere a quel bambino che ognuno di noi è stato e sempre sarà, allora la spontaneità, il gioco, la libertà, la gioia ci faranno vedere ciò che ci ingabbiava con nuovi occhi. Così i limiti, i fallimenti, diventano la porta verso l’inaspettato, la chiave di accesso verso lo stupore. L’immaginario poetico e giocoso si apre e trasforma gli oggetti, che accompagnano gli attori della T.A.M.M. nelle azioni di interno quotidiano di inizio spettacolo (un cuscino, un libro, degli occhiali, ombrelli, una bottiglia e dei bicchieri, un antico ferro da stiro) nei protagonisti della favola del paese addormentato”. E a risvegliare oggetti e paese saranno i bambini: in questo caso, quelli dell’Istituto “Padula”, protagonisti del momento dello spettacolo in cui si porta in scena il desiderio di cambiamento. Ogni bambino si trasforma in un supereroe, riuscendo “a risvegliare il paese dal sonno profondo in cui era caduto attraverso la messa in atto della fiaba – scritta ed illustrata dai bambini – sul paese addormentato. Grazie al coraggio di moderni eroi ed eroine in un grande gioco fatto insieme, superando i giusti ostacoli previsti da ogni buona storia a lieto fine, il paese potrà essere risvegliato. E così è stato prima della videoinstallazione finale, che ha trasformato tutti, piccoli e grandi, in spettatori del loro futuro, insieme”.
A concludere la performance, un video coinvolgente e di grande intensità, ovvero “un volo sul paese addormentato, passando per il quartiere Picitti, tra case sventrate e vuote e la natura che si riprende gli spazi umanizzati, accompagnati dalle parole di Wim Wenders, tratte dal libro “Quel che resta”, di Vito Teti, che hanno portato spettatori e artisti alla riflessione finale:
“Quando tra milioni di anni
nessuno sarà più qui e nessuno
neanche lontanamente ci ricorderà,
ebbene i luoghi lo faranno.
I luoghi hanno un pensiero,
una memoria
si ricordano di tutto come se fosse impresso nella pietra,
più profondo dell’ oceano più profondo.
I loro ricordi sono come le dune vaganti che vengono trasportate dal vento.
Per questo ci appelliamo alla loro capacità di rimembrare… affinchè non si dimentichino di noi”.