Al di là della valenza dell’intero progetto e della volontà – come ha evidenziato la direttrice di Rai Cultura, rispondendo alla mia domanda, in conferenza stampa – di proseguire nella direzione di riportare il teatro sulle reti generaliste, con la costruzione di un linguaggio che sia “proprio” (temi di cui Culturalife si occupa da tempo), “Sei pezzi facili” – la proposta su Rai3 di sei opere teatrali di Mattia Torre, attraverso lo sguardo e la regia televisiva di Paolo Sorrentino – non convince pienamente. Sicuramente la versione tv del testo scelto per la prima trasmissione, “Migliore”, ha un passo più deciso e una linea potenzialmente più interessante rispetto a quella di “Gola”, reso fruibile su Raiplay dalla settimana precedente e proiettato nell’anteprima per la stampa: probabilmente, in quest’ultimo caso, il monologo a leggio non consentiva ampie possibilità di manovra, a livello registico, con la scelta di cambi di camera rapidi, per dare ritmo, e numerose inquadrature, con zoomate veloci, sul pubblico. E con le risate, reali, certo, ma con un tono che appare come ovattato, quasi estraneo, che snatura il tutto, ottenendo forse l’effetto contrario a quello voluto, ovvero totale naturalezza e rapporto con il pubblico (che resta comunque un aspetto importante, da approfondire in future produzioni). Un elemento che ritorna, pur se in misura minore, anche in “Migliore”; e tornano anche le rapide variazioni di camera e di prospettiva, ma con una diversa funzione, ovvero quella di evidenziare le voci dei diversi personaggi che il protagonista – reso nei suoi toni sfaccettati da un grande Valerio Mastandrea, emozionante ed emozionato – richiama nel suo monologo: tuttavia, le riprese laterali, dall’alto, i primi piani, gli stacchi, all’inizio sembrano costruire un linguaggio proprio, poi via via si perdono, ritornano a tratti, ma non realizzano davvero quella finalità, quel linguaggio che contribuisce alla costruzione di un racconto, restando in gran parte soltanto funzionali alla creazione di ritmo e di una differente visione (come la ripresa di spalle, dal palco). Resta, però la curiosità di guardare gli altri spettacoli, in particolare “456”, per capire se la presenza in scena di più personaggi abbia consentito una diversa costruzione.
P.S. L’articolo si riferisce, naturalmente, alla versione televisiva delle opere teatrali, non al grande valore dei testi, nè a quello degli interpreti, fra i migliori attori del panorama artistico contemporaneo. Non ci sarebbe bisogno di aggiungerlo, ma leggendo alcune recensioni, ultimamente, forse c’è bisogno di precisarlo…
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Paola Abenavoli
Paola Abenavoli, giornalista, critica teatrale e cinematografica, studiosa di storia della tv. Autrice dei saggi “Un set a sud”, “Sud, si gira” (titolo anche del primo sito su sud e audiovisivo, da lei creato), e “Terre promosse”. Già componente del Consiglio superiore dello Spettacolo, fa parte di Associazione nazionale critici di teatro, Rete critica e Sindacato nazionale giornalisti cinematografici.