C’è vita sul pianeta cinema italiano? Un cinema che sappia attingere dal passato per raccontare con un linguaggio universale? Sempre di più, potrebbe essere la risposta, quando si assiste a film in cui l’innovazione visiva travolge lo spettatore, in cui è palpabile il gusto per un cinema che rimanda a ispirazioni alte, pur restando giovane, vitale, fresco, e nello stesso tempo denso, impegnato, creativo, ricco di sensazioni e di commistioni, di musica e di arte visiva che incontrano il cinema, di una recitazione soffusa e immensa, di una regia che c’è, reale e mai sovrastante, ricca di stile, un elemento che spesso manca. “Ricordi?”, opera seconda di Valerio Mieli, fa credere che per il cinema italiano ci siano speranze, tante speranze, di rinnovarsi, di essere ancora autorale e diretto, di dare spunti nuovi, anche in questo caso tantissimi.
Tantissimi come i ricordi dei protagonisti che si affastellano, si rincorrono, vengono alla mente con naturalezza ma anche in modo sorprendente, “naturalmente sorprendenti” come questo film. Una potenza visiva e creativa che riprende quell’innovazione che Valerio Mieli aveva mostrato nel suo film d’esordio, quel “Dieci inverni” che aveva conquistato critica e pubblico, restando nel cuore di molti come un vero e proprio cult (con un valore aggiunto: aver contribuito, con l’utilizzo dei luoghi più particolari e inediti di Venezia, veri protagonisti del racconto, alla creazione di una nuova relazione tra cinema e territorio, in questo caso del Veneto). In questo secondo lungometraggio, riprende il tema di una storia d’amore che vive momenti differenti, contrastanti, che si dipanano lungo un tempo, in questo caso indefinito; una storia di una coppia giovane, che cresce e si evolve vivendo questi momenti, ma attraverso un flusso di ricordi che si intersecano, in un’alternanza continua tra passato e presente, tra punti di vista differenti di una vicenda, di un istante. Ma non è solo un ricordo che cambia nella mente di chi lo rivive, una verità che muta nel ricordo stesso: è, appunto, un flusso di coscienza, un’immersione nella quotidianità attraverso gesti e situazioni, attraverso momenti che riaffiorano in una data situazione e grazie a luoghi, oggetti, immagini. Quei ricordi che si affastellano e che un profumo può evocare, entrando prepotentemente nella vita in attimi imprecisati, improvvisi e invadenti, oppure depositati in un angolo della memoria e chiarificatori nel loro riaffiorare. E così la storia non ha un percorso diretto, univoco, ma si compone di questi momenti, di questi frammenti, tra sprazzi di passato che ricostruiscono un sentire, più che un fatto, e il presente e il futuro che si mescolano.
Gioie, dolori, passioni, incubi irrisolti, tristezze che riemergono e felicità difficili da giustificare: lei e lui, senza nomi ma con sensibilità che si confrontano, a partire dal significato dei ricordi, dal loro prevalere sulla realtà, dall’essere zavorra o prezioso bagaglio. Lei e lui che si incontrano, si confrontano nel piccolo vivere, nelle piccole cose e nella grandezza di un sentimento.
E queste emozioni, questi ricordi, sono fotografati, messi in scena, raccontati con un linguaggio straordinario da Valerio Mieli: un montaggio incredibile, che è sceneggiatura, ed è frutto di un lavoro di grandissima difficoltà tecnica; un gusto dell’immagine e della costruzione visiva che non è mai leziosa, ma intensissima; un uso della musica importante, a volte più delle parole (e non a caso spesso le sovrasta, lasciando che siano esse il sottofondo); luoghi che non sono mai, anche in questo caso, sfondi, bensì strumenti evocativi, protagonisti e motori del racconto e dei ricordi, tra ritorni e abbandoni, tra città e borghi che racchiudono la memoria, tra fantasie di bambini che prendono forma e case in cui rincorrere la perfezione di un rapporto; dialoghi che a volte ricordano le atmosfere eteree, riflessive del connubio Antonioni/Guerra. Tutto questo crea il linguaggio cinematografico, lo stile di Mieli, evidenziato dalle performance di due attori che diventano tutt’uno con i ricordi dei protagonisti, ne diventano incarnazione ed emozione: Luca Marinelli, ancora una volta perfetto, intenso in un ruolo difficile e mai portato all’esasperazione, e la giovane Linda Caridi, volto e sguardo che sanno trasferire magnificamente sullo schermo fragilità, semplicità e forza.
Una ventata di innovazione, recupero di lezioni dei grandi, che riesce a raccordare contemporaneità di racconto e universalità di sentimenti: come lo splendido finale, con la realtà punteggiata dalla “visione” delle note che scorrono, mentre dall’alto si fotografa un binario, due rette parallele che sperano, forse, di incontrarsi.