Si può scegliere di raccontare in tanti modi un personaggio, un artista: quello che sceglie Edoardo Leo per raccontare Gigi Proietti è coglierne l’essenza, ciò che ne ha fatto un unicum nel panorama artistico italiano. Ovvero, il sapere unire con sapienza l’alto e il popolare, nell’accezione più alta del termine (quella che Proietti sottolineava, come quando, ad una spettatrice che gli chiedeva cosa fosse popolare, lui chiese a sua volta “Secondo lei Shakespeare è popolare?”: alla risposta negativa della donna…non c’era altro da aggiungere!).
Un segreto che si cerca di scoprire, nel corso del documentario “Luigi Proietti detto Gigi” (nelle sale dal 3 al 9 marzo, è prodotto da Fulvio, Federica e Paola Lucisano con Paola Ferrari e Edoardo Leo e distribuito da Nexo Digital): un viaggio che rivela come questo segreto sia in realtà nell'”essere Gigi Proietti”. Leo riesce, ricostruendo le tappe del suo percorso artistico, a far comprendere come ogni tassello della carriera di Proietti sia stato una preparazione di questo disvelamento, che si compie con il suo capolavoro, “A me gli occhi, please”: tutto il lavoro nel teatro di ricerca, in un’avanguardia che molti non conoscono, la passione per lo studio sulla voce, che lo avvicina a Carmelo Bene, l’esplosione dell’arte che unisce “leggerezza” e profondità, si sintetizzano con naturalezza e necessità in quel momento teatrale, che resta anch’esso unico nella storia dello spettacolo italiano. E la gente lo intuisce, prima ancora della critica, prima ancora dello stesso protagonista, che si stupisce di come il pubblico, sin dalla prima sera, accolga “A me gli occhi, please”: è l’essenza del teatro (come mi è capitato di definire Proietti, ricordandolo su Hystrio) che si compie su quel palco, che si rivela, rivelando lo stesso artista. Come se quella sintesi avesse fatto comprendere a tutti – pubblico popolare, pubblico “colto”, addetti ai lavori e allo stesso protagonista – quale fosse la sua capacità: essere esempio di cosa significhi arte e riuscire a fare arrivare quest’arte a tutti. Un concetto complicato che rese semplice: la cosa più difficile del mondo.
E questo documentario, con la stessa semplicità, ma con grande accuratezza (tra materiali d’archivio, interviste condensate in brevi e dense dichiarazioni o racconti, montaggio di spezzoni di spettacoli o show televisivi), ci fa scoprire questo magnifico viaggio: insieme ad aspetti poco noti, come se ogni volta Proietti volesse rivelarci qualcosa di nuovo, di sé e della sua arte.
Per tutti questi motivi Proietti resta unico ed è questo il merito di Edoardo Leo: aver tradotto sullo schermo l’essenza di questa unicità. Indubbiamente, ha trovato la chiave giusta per farlo – senza retorica, ma con rispetto e il giusto dubbio, la giusta vicinanza -, per rendere una biografia strumento per conoscere cosa significhi la parola “artista”, indissolubilmente legata alla parola “persona”.