C’è il racconto di formazione, l’amicizia; c’è la favola, c’è il sogno, quell’aspetto onirico che ci riporta alla dolcezza de “La luna”, il corto candidato agli Oscar nel 2012; c’è la perfezione delle immagini, la bellezza assoluta dei colori, i tessuti, i sassolini, le onde che si infrangono sulla spiaggia, persino le trenette al pesto che sembrano reali, che quasi puoi toccare; e c’è la Liguria, le Cinque terre, l’Italia, forse sì, quella ideale, ma anche reale, quella degli anni ’50-’60, dei piccoli borghi, dove puoi girare a piedi nudi, dove i bambini giocano spensierati in spiaggia, dove impera la Vespa, sogno del boom e del cinema, come ricorda il manifesto di “Vacanze romane”. Ma non è un racconto nostalgico: perchè quei borghi, quella spensieratezza dell’infanzia, i sogni dei due protagonisti, Luca e Alberto, sono quelli di tutti i bambini. Ed il sentirsi diversi, come evidenzia anche la piccola ma tenace Giulia, o meglio l’essere visti come tali – perchè si ama qualcosa di diverso da quello che ama la massa, perchè nel giudizio esterno l’apparenza prevale sull’essenza, o perchè si proviene da un mondo differente o sconosciuto – è un tema universale. Ecco perchè “Luca” sa unire una straordinaria innovazione e bellezza visiva ad una universalità di racconto che, pur nella classicità, sa guardare all’attualità, inserendola in un sogno che supera schemi e confini.
Il nuovo – e attesissimo – film di animazione Disney e Pixar, che sarà disponibile su Disney+ a partire dal 18 giugno, conferma il grande talento che il regista Enrico Casarosa aveva già espresso nel citato “La luna”: quello di sapere narrare per immagini, evocare mondi senza tempo, descrivere – con pochi ed eleganti tocchi – sentimenti ed emozioni, con un tratto deciso e naturale, senza eccessi, ma coinvolgente. E il rimando alla sua Italia – che, come altri talenti dell’animazione, ha lasciato giovanissimo per approdare negli Stati Uniti – non è cartolinesco, non è nostalgico: è universalità che sa costruirsi attingendo alla memoria dell’infanzia, al momento di svolta, di crescita, in cui realtà e favola si incontrano. Momento che nel territorio trova terreno (e acqua!!) per fiorire: così come tanti film oggi riescono a costruire un immaginario prendendo linfa dai territori, che creano linguaggio (oltre al fenomeno del “Film induced tourism”, ovvero il cineturismo), lo stesso può accadere nell’animazione. E “Luca” è l’autentica testimonianza di come un luogo possa essere fonte di racconto, linguaggio: quel borgo, quel mare non sono sfondi, sono parte fondamentale di una narrazione. Mangiare un gelato o la pasta al pesto o la focaccia non è mai folklore in questo film, ma scoperta, strumento per comprendere e conoscere.
Anche la musica, da Morandi a Edoardo Bennato, per finire con Mina, è colonna sonora, indentifica un luogo, ammalia lo spettatore, ma soprattutto costruisce un percorso: quello dei due piccoli “mostri marini” che approdano sulla terra e diventano umani, non abbandonando il loro passato, ma cercando di scoprire se stessi. Comprendendo, strada facendo, che l’amicizia, l’aiuto dell’altro, è parte fondamentale di questo percorso.
Casarosa, in questa costruzione, non sbaglia un colpo: nei rimandi, nelle citazioni (oltre a “Vacanze Romane”, Totò, Marcello Mastroianni, e tanti altri), nella visione scenica, nella bellezza dell’animazione e nella ricerca – per quanto riguarda i personaggi – di un tocco proprio, in cui l’artigianalità del disegno e la tecnologia si uniscono per restituire la vitalità, il mutamento delle emozioni, il sogno e la poesia del cartoon che mira al cuore dei più piccoli, così come a quello dei loro genitori. E’ questa l’universalità del racconto, questo il tocco sapiente che sintetizza animazione e narrazione che sa rendere un’altra universalità, quella di una terra, di un Paese: l’essenza di un territorio, in cui la bellezza non è un quadro, statico, ma parte fondante di un’umanità che supera spazio e tempo.