Quello andato in onda, sabato scorso, su Raiuno, non è stato un “semplice” evento tv come tanti altre: è stato un momento importante per la televisione, in particolare per quella pubblica. “La mia danza libera” è stato un esempio, una prova che di cultura in prima serata si può “parlare”; che si può realizzare un programma di qualità, da trasmettere il sabato sera, quella che una volta era la serata di punta in cui proporre “il” programma, quello più curato, quello più studiato, che potesse raggiungere tutti. E soprattutto, che si può proporre un tema come quello della danza, classica e contemporanea, con semplicità ma allo stesso tempo con maestria ed arte, unendolo alla musica (anch’essa di grande qualità), unendo generi, ospiti diversi, e soprattutto divertendo, facendo spettacolo.
Il dato fondamentale è proprio aver dimostrato che, parafrasando Mel Brooks, “si può fare”. Perchè la Rai ha l’esperienza e la professionalità per farlo. Perchè è giusto parlare di cultura ad un pubblico vasto, riproporre la bellezza come valore formativo, senza aver timore di usare queste parole: e soprattutto che si può farlo innovando. Innovando il linguaggio con cui se ne parla; innovando lo stile; proponendolo grazie ad un personaggio, come Roberto Bolle, che conquista, che coinvolge più generazioni e che esprime arte, ironizza, divulga ed incanta, naturalmente, con la sua bravura.
Ecco allora che, per la prima volta, in prima serata si ammirano, oltre ai classici come “Romeo e Giulietta” o “Il lago dei cigni”, anche la danza contemporanea su una “non musica”, la “contaminazione” tra generi, dando modo di apprezzare anche la sapienza musicale di Asaf Avidan, o di Stefano Bollani ed Elio, con cui Bolle scherza ed ironizza, tra un esercizio alla sbarra (a dimostrazione dei tanti sacrifici che l’arte porta con sè) e passi di danza jazz. Scherza, il più grande ballerino italiano, anche con Carla Fracci, che si presta al gioco di specchi con una straordinaria Virginia Raffaele, e che mostra un’autoironia che solo i grandi hanno, entrando in scena proprio dopo la sua imitatrice: e quel passo a due con Bolle, proprio mutuato da un gioco di specchi, si rivela uno dei momenti più belli de “La mia danza libera”. Che di momenti intensi ha vissuto, senza retorica o enfasi, ma solo grazie alla forza che la danza ed i suoi più grandi interpreti hanno: dall’unione della poetica proustiana con l’arte coreografica di Roland Petit alla chiusura sulle note dell’Arlésienne.
Non c’è un attimo di pausa, un ritmo che cala, ma è tutto un coinvolgimento totale: e se, sì, a volte si potrebbe pensare che non ci sia un unico filo di racconto, ondeggiando tra “costruzione fiction” e spazi-intervista con il conduttore (anzi, i conduttori, Francesco Pannofino e Luisa Ranieri), in realtà è solo un particolare, che comunque non stona e che non inficia il giudizio positivo sul programma. Un programma che sa trovare, appunto, il suo ritmo, attraverso la costruzione di un linguaggio differente: quello che, certo, sa unire classicità e modernità, sorriso ed emozione, cultura ed innovazioni grafiche e tecnologiche; ma che, in particolare, trova nel linguaggio registico una delle chiavi per portare il tema danza in televisione. Ovvero, le riprese ed il montaggio, pur se all’inizio possono magari apparire spiazzanti, per chi è abituato a seguire un balletto in teatro (dunque, con un “totale” della scena), per chi vuol seguire l’avvio del movimento e non si aspetta un controcampo, in realtà spezzano, appunto, la visione classica, per diventare funzionali alla fruizione televisiva: senza quelle scelte, probabilmente, la staticità di una ripresa avrebbe reso più distante lo spettacolo, mentre il pubblico così entra all’interno della danza, e lo fa con un ritmo innovativo e forse televisivamente più moderno. Una scelta che non era semplice da compiere, poichè riprendere un balletto, così come uno spettacolo teatrale, è una delle imprese più complicate da realizzare, essendo arduo il compito di trasferire un’emozione non limitandosi a rifletterla, ma creando un linguaggio proprio.
Ecco, “un merito nel merito” di questa trasmissione (che, certamente, va ascritto, oltre che a Bolle, anche a Giampiero Solari ed alla produzione) è proprio quello di aver studiato un linguaggio nuovo, artistico e tecnico, per realizzare questa scommessa. Una scommessa vinta, sicuramente. E sicuramente da ripetere.