La pioggia tenta di fermare la magia della grande lirica all‘Arena di Verona: ma il violento nubifragio che precede la prima dell’Aida non blocca l’evento e la professionalità dei tecnici fa sì che quella magia si ripeta ancora una volta. In un’Arena gremita va in scena l’opera più imponente, più affascinante, quella in cui l’aspetto scenico, appunto, predomina sempre, coinvolgendo il pubblico, trasportandolo in un sogno in cui il melodramma si fonde pienamente con la teatralità, la musica con la grandezza visiva.
Il festival lirico, dopo l’apertura con la Carmen firmata da Zeffirelli, propone, dunque, l’opera per eccellenza, quella che non può mancare in Arena: protagonista è l’Aida nella versione originale del 1913 curata da Ettore Fagiuoli, rivisitata da Gianfranco De Bosio (con l’allestimento ideato nel 1982), che però si mantiene fedele alla visione originaria (in particolare, con la costruzione del velario, nell’ultimo atto, rifacendosi ad un dettaglio presente nei bozzetti di inizio ‘900). E se ad alcuni, a tratti, la messa in scena dell’opera verdiana potrebbe sembrare troppo classica, in realtà quella che viene proposta è quasi una lettura filologica dell’opera, un recupero di una linearità di stile e di magniloquenza che fonde, in una “semplicità studiata”, la potenza musicale e quella del racconto visivo. Una forza che è propria della lirica, e che sul palcoscenico dell’Arena viene rappresentata in tutta la sua essenza, quella con cui fu concepita e realizzata. Ed ecco, dunque, la marcia trionfale con i cavalli, il velario di cui si diceva in precedenza, i movimenti scenici che si inglobano alla perfezione nella struttura dell’Arena, le danze che riprendono le coreografie storiche. Una ricerca che non vuole essere nostalgia del passato, ma memoria che tende all’universalità.
Il tutto si muove nel segno di una classicità che non significa, appunto, non voler guardare al futuro, bensì rappresentare, come detto, la forza e l’universalità dell’arte. Dalla scena alla musica.
Parlando, dunque, dell’aspetto musicale, Hui He, protagonista nei panni di Aida, entusiasma il pubblico, trasportandolo con un’interpretazione toccante (specie nell’aria “Ritorna vincitor”) nella forza del melodramma, e superando nettamente uno Yusif Eyvazov sottotono, che non riesce ad imprimere lo stesso slancio al suo Radames. Grande presenza scenica di Ildikó Komlósi (nel ruolo di Amneris), convincente soprattutto negli acuti. Direzione d’orchestra mai sovrastante, lineare (anche se qualche guizzo in più non avrebbe stonato), di Julian Kovatchev.
E ancora, da segnalare l’ottima prova di Ambrogio Maestri, imperioso Amonasro. Senza dimenticare il coro, che si incastona perfettamente nella lettura scenico-musicale dell’opera.
Il tutto dà vita ad un evento che resta unico, che ha in sè – e nel luogo che lo ospita – una magia visiva che è già arte.
(Immagini Ennevi Foto)