Alla Festa del cinema di Roma, oggi in anteprima per l’Italia (uscirà al cinema il 16 gennaio 2020) abbiamo visto “Judy” di Rupert Goold. È una sorta di biopic sulla grandissima Judy Garland, che si concentra specialmente sull’ultima fase della sua carriera. Nel 1968 infatti, la Garland, a 30 anni dal suo debutto e dai suoi maggiori successi, dimenticata da Hollywood, accetta una serie di concerti a Londra. La voce non è più quella di una volta, ma la verve e l’energia sono le stesse, anche se è profondamente infelice. È indebitata fino al collo, alcolizzata e imbottita di farmaci, ma soprattutto rimpiange la sua infanzia mai vissuta. Ossessionata dall’idea di riprendersi i figli, lasciati al marito, riuscirà, in un modo o nell’altro, a portare a termine il suo impegno. Nulla di particolarmente nuovo rispetto a tanti altri film biografici, ma l’idea vincente qui è quella di mostrare solo la fine e l’inizio della carriera di Judy, per sottolineare l’ambiente dello spettacolo (soprattutto a Hollywood) e i suoi meccanismi che spremono gli artisti finché hanno qualcosa da dare, li stritolano e poi li buttano via.
E tutto questo rimarca l’infelicitá della Judy adulta, resa perfettamente dalla interpretazione di Renee Zellweger, che, pur gigioneggiando in alcuni momenti, aderisce perfettamente alla personalità della Garland, rendendola credibile e risultando a tratti assolutamente identica. E se la regia non ha guizzi particolari, il regista Goold riesce comunque a immergerci malinconicamente nella vicenda umana di questo personaggio, e conclude il racconto con una scena finale decisamente toccante. La Zellweger canta realmente le canzoni della colonna sonora.
Francesco Arcudi