“E’ una dote, o ce l’hai o non ce l’hai”: così il protagonista di “Italianesi”, il nuovo spettacolo di Scena Verticale, spiega agli altri la sua capacità di scegliere, di trovare i colori delle stoffe che usa nel suo mestiere di sarto all’interno di un campo di concentramento. Quei colori che lui, in realtà, trova nei suoi sogni, quei sogni in cui immagina qualcosa che poi spesso diventa realtà.
E quel sapere immaginare e poi rendere sul palcoscenico, con una poesia straordinaria, è la dote che connota l’arte di Saverio La Ruina, autore, regista ed interprete di questa nuova opera, con la quale porta avanti il percorso di scrittura e rappresentazione teatrale che la compagnia, guidata insieme a Dario De Luca, ha intrapreso da anni, sviluppando stili, ricercando argomenti inediti o evidenziati in modo inedito. E, dopo “Dissonorata” e “La borto”, trasferendo ancora una volta emozioni molto intense, con la forza di parole, di toni, di gesti piccoli ma precisissimi, di una intensità interpretativa (oltre che di una genialità nella scrittura e nella costruzione del racconto), che fanno di Saverio La Ruina uno dei protagonisti assoluti della scena contemporanea, per la sua forza attoriale e per quella drammaturgica.
Ancora una volta solo in palcoscenico, l’attore trasporta nuovamente lo spettatore dentro una storia: il racconto, anche in questa occasione, assume quasi un tono musicale e, attraverso una scrittura che alterna momenti, periodi storici, andando avanti e indietro nel tempo, mantiene un ritmo sempre crescente, che tocca l’apice nell’emozionante percorso a ritroso del protagonista, alla ricerca del padre e di una nuova vita. Un percorso doloroso, questo di un uomo che, dopo aver trascorso quarant’anni in Albania da “straniero”, finalmente arriva nella tanto sognata Italia, dove però viene trattato ugualmente da straniero. Decide di ritornare nel Paese natale, ma l’amore per quella terra, immaginata a lungo, resta vivo sempre nei suoi sogni.
Una vita alla ricerca di un “colore diverso”, che forse il protagonista può trovare solo proprio nei suoi sogni, quelli in cui immagina di volare su un aereo, insieme al padre.
Emozioni, storie e vita narrate attraverso le vicende dei singoli, come nella migliore tradizione letteraria e teatrale. Come sanno fare i grandi autori: e La Ruina rientra a pieno merito in questa categoria, trovando anche in questo caso la chiave giusta di narrazione, nonché di trasposizione scenica.
Partendo dal particolare, dalla precisione che il protagonista mette nel suo lavoro, così legato ai suoi sogni e ai suoi colori, e arrivando a disegnare nell’immaginario degli spettatori luoghi, personaggi, sentimenti. C’è una sedia in scena, ma stavolta il racconto si stacca a tratti da quella sedia; un racconto in cui il personaggio, accanto ai mutamenti del volto, unisce piccoli ma intensi gesti, camminate stanche non solo per i pugni presi: il tutto (accompagnato dalla musica eseguita dal vivo da Roberto Cherillo, che delinea passaggi e situazioni, così come le luci, curate da Dario De Luca), all’interno di una interpretazione che sa trasferire emozioni con l’essenzialità che diventa forza. Quella di un grande attore, come Saverio La Ruina.