
Il commissario Ricciardi – Fin dalle prime scene si ammira una grande regia (di Alessandro D’Alatri), fotografia e scene affascinanti, curate fin nel più piccolo dettaglio, che danno il tono giusto, l’atmosfera giusta – anche inedita per la tv – alla storia.
La grande tradizione teatrale napoletana, ma in generale la qualità degli attori si riflette in una serie di interpretazioni di livello: dalla bravissima Nunzia Schiano, nei panni di Tata Rosa, ad Enrico Ianniello, ironico e profondo nel ruolo dell’anatomopatologo, al prete che ha lo sguardo unico di Peppe Servillo, all’eccezionale Adriano Falivene che tratteggia il personaggio di Bambinella, fino ad uno straordinario Antonio Milo, che incarna il ruolo più sfaccettato ed empatico, ovvero quello del brigadiere Maione. Anzi, viene da dire che la serie forse si potrebbe chiamare “il brigadiere Maione”, per quanto è profondo, importante e centrale il personaggio interpretato da Milo (il cui talento non scopriamo oggi, ma che già apprezziamo dai tempi de “La Squadra”). Meno sfaccettato il personaggio di Ricciardi: non parliamo dell’interpretazione, che non è in discussione (Lino Guanciale è uno degli attori più talentuosi e completi del panorama artistico contemporaneo, grandissimo anche in teatro), ma è proprio una questione di scrittura, anche drammaturgica; aspettiamo, comunque, le prossime puntate per verificare l’evoluzione e la crescita, la definizione del personaggio stesso. Punto debole è la linea del giallo – cui manca l’intreccio forte, il crescendo fino allo svelamento – , come peraltro accadeva anche ne “I bastardi di Pizzofalcone”. Aspetti che non inficiano, tuttavia, la resa complessiva della serie, che ha un altro protagonista, importantissimo e decisivo: Napoli, con la sua storia, la magia, la bellezza, le sfaccettature, la cultura. Ancora una volta, il legame tra tv (e cinema) e territorio, in particolare territorio del sud, è fondamentale e vincente.