Dalla storia all’oggi: un percorso che ogni opera d’arte dovrebbe compiere – o aiutare a compiere – per guardare il presente nel tentativo di comprenderlo.
Dalla storia – e i racconti – del brigantaggio, dalla storia della Calabria di ieri, a quella di oggi. Da un’emigrazione fondata sulla fuga per paura o per miseria, a quella di oggi, fondata forse sulla speranza, sulla voglia di emergere: ma, alla fine, per tutti, quella terra sembra lontana, e quelle case, per la cui costruzione si è lavorato e combattuto, sembrano solo sfondi di bellissimi e tormentati luoghi.
“Jennu brigannu”, a dieci anni esatti dalla prima rappresentazione in riva allo Stretto, è diventato, nel tempo, qualcosa di più di uno spettacolo teatrale: è un viaggio nell’intimo del calabrese, del suo essere, di una terra, di un popolo; un viaggio che si alimenta, si evolve, assume ulteriormente un valore importante, tra memoria, testimonianza e riflessione. Il testo di Vincenza Costantino evidenzia sempre più la sua capacità di essere universale, per il suo saper fotografare anche l’oggi, attraverso un rimando tra situazioni contemporanee e storia (in un’indagine “delle cause esistenziali – come afferma, nell’introduzione al testo, Natale Filice – del continuum della calabresità”, secondo un criterio in cui un tempo, appunto, si frappone all’altro, e, dunque, “non vi è passato da cui trarre insegnamento nè futuro su cui investire nel presente”). E, in questo, la nuova versione scenica firmata da Ernesto Orrico e andata in scena nell’ambito della stagione di SpazioTeatro (che proprio dieci anni fa aveva ospitato la prima dello spettacolo) gioca un ruolo importante nel dare ulteriore linfa ad una riflessione che gioca anche con il sorriso e la risata amara, che sottendono una drammaturgia poetica e profonda. Proprio il rimando continuo tra passato e presente (e quello tra dialetto e lingua) che i due attori (lo stesso Orrico e Manolo Muoio) compiono, trasformandosi da briganti che narrano la loro storia o quelle di altri personaggi dell’epoca, in uomini del presente alla ricerca di una identità, diventa il punto attorno al quale si snoda, sul palcoscenico, lo spettacolo: brevi racconti, brevi scene, dialoghi intensi, ricchi ma mai verbosi, danno ritmo e coinvolgimento, così come le straordinarie interpretazioni di Orrico e Muoio, calati dentro i personaggi senza mai soverchiarli, ma incarnandoli con quella completezza e naturalezza che è propria di chi ha costruito negli anni i personaggi stessi.
E’ un viaggio, quello di “Jennu brigannu” e degli spettatori, che scorre ma non passa via; che attraversa chi lo ascolta; che, tra un sorriso e una scoperta, induce a guardare dentro e attorno a noi. Induce a chiederci, come fanno i due protagonisti sul finale, dove siano andati tutti, cosa sia rimasto della Calabria, se il suo cuore sia ancora tra le case vuote, se la terra si sia “dimenticata di essere terra”.