Torna alla serialità, Michele Riondino: ma è comunque un debutto, arrivando, infatti, alla serialità di Netflix, con “Fedeltà”, sei puntate disponibili dal 14 febbraio. Ancora una volta, Riondino si cimenta in una storia dalle radici letterarie: la serie diretta da Andrea Molaioli e Stefano Cipani è tratta, infatti, dall’omonimo romanzo di Marco Missiroli e di letteratura si ciba e alla letteratura fa spesso riferimento (non solo perché il protagonista è uno scrittore). Un personaggio sfaccettato, quello interpretato dall’attore, così come quello cui dà vita Lucrezia Guidone: sono loro i protagonisti di una storia di coppia, tra dubbi, tentazioni, crescita, aspirazioni, in una serie che mescola tanti toni, così come tante sono, come si diceva, le sfaccettature dei personaggi, le luci e le ombre che li caratterizzano (e lo stile di Molaioli si avverte, nel creare un’aura di sospetto, di tensione – anche morale -, di dubbio interiore). Il tutto raccontato con uno stile e un impianto molto più filmico: il che non è affatto un difetto, anzi, poiché dà un respiro certamente differente rispetto alla “consueta” serialità, pur non mancando le caratteristiche proprie del genere, dal cliffhanger al ritmo, con puntate dalla durata ormai standardizzata (e anche questo è un aspetto positivo) per le ultime produzioni Netflix, ovvero circa 30 minuti.
Si diceva del cast: accanto a Riondino e Guidone (formatasi in teatro, alla scuola di Ronconi), tanti nomi giovani – come Carolina Sala e Leonardo Pazzagli – che stanno crescendo con il cinema e la serialità, insieme a nomi già affermati provenienti anche loro dal teatro, dalla grande Maria Paiato, a Maurizio Donadoni, a Maurizio Lastrico. E il lavoro degli attori, nella costruzione di questa serie, è stato fondamentale: un lavoro di squadra – è stato più volte ribadito, nel corso della conferenza stampa di presentazione della serie – , con sceneggiatori, registi e produttori, per dare corpo ai sentimenti, alle atmosfere del libro e ai personaggi. Un percorso intenso che, come sottolineato dagli sceneggiatori Alessandro Fabbri, Elisa Amoruso e Laura Colella, si è incentrato sulla necessità di tradurre in drammaturgia i travagli interiori dei personaggi, il conflitto, le loro tensioni, i loro pensieri tratteggiati nel libro, senza tradirne l’essenza, ma rendendoli visibili. Ciò – rimarca Fabbri – ha portato anche alla “creazione di situazioni, eventi che non sono presenti nel libro: chi lo ha amato avrà la sorpresa di trovare dei momenti di novità, accanto ai personaggi che restano quelli del libro”.
Personaggi che – proseguono gli autori – sono protagonisti di una sorta di percorso di formazione, poiché la fedeltà cui fa riferimento il titolo non è solo quella di coppia, ma anche quella verso se stessi: una serie di domande che la storia – affermano gli attori – pone in evidenza, che sono poi le domande universali, ma cui non si vuole dare una risposta.
Universalità è una parola chiave, unita all’attenzione al locale, ai luoghi delle città: aspetti che, come sottolineiamo da tempo, sono ormai al centro delle produzioni audiovisive degli ultimi 20 anni e che, in particolare in tempi recenti, sono tornati ad esserlo sempre più, grazie all’esplosione delle serie tv. E Netflix sta sposando questa visione, come rimarcato dalla manager delle serie italiane original, Ilaria Castiglioni: un dato che assume un rilievo interessante, soprattutto data la diffusione dei prodotti in tanti Paesi e, dunque, della caratteristica propria delle piattaforme streaming, la capacità di coinvolgimento e di diffusione, appunto. Le serie original prodotte di recente, da “Incastrati” di Ficarra e Picone, a “Strappare lungo i bordi” di Zerocalacare, a “Fedeltà, “sembrano serie molto diverse – aggiunge Castiglioni – ma hanno un punto in comune: ognuno di questi show è molto connesso con la città, con il quartiere che ha dato vita ad essi. Quindi, storie universali, ma che diventano particolarmente significative quando sono raccontate dentro un contesto specifico. Ciò è importante perché, da una parte, suscita la curiosità delle persone di approcciarsi a luoghi nuovi, dall’altra suscita identificazione“.
In pratica, dal locale al globale, l’universalità che nasce dal locale: aspetti sui quali da tempo abbiamo aperto una riflessione, come elementi che stanno caratterizzando e che, molto probabilmente, continueranno a caratterizzare la produzione audiovisiva italiana. Il tutto facendo del territorio, dei luoghi, i protagonisti aggiunti: nel caso di “Fedeltà”, una Milano che spazia tra modernità e classicità e che diviene, con le diverse location, partecipe dei differenti stati d’animo dei personaggi. Come evidenzia Molaioli (nel solco di quella che è oggi la visione moderna che sta connotando il cinema e le serie), l’intento è stato quello “raccontare luoghi che non solo fossero esteticamente cornici, ma che diventassero ogni volta un po’ narrativi“.