Alla fine vince “Sacro GRA”: un Leone d’oro che i reggini sentiranno ancora più “vicino”, visto che l’ispirazione di questo lavoro è targata Renato Nicolini (protagonista di un precedente doc di Gianfranco Rosi, considerato propedeutico a questo) ed a lui il documentario è dedicato.
Ma, al di là della vittoria, quali le novità, i punti salienti (e quelli critici) di una Mostra del cinema che ha tagliato il traguardo dei 70 anni? Forse la verità è che non si sono viste grandi novità, se per queste intendiamo soprattutto innovazioni stilistiche: insomma, il fatto che abbia vinto un documentario non può essere sufficiente a parlare di qualcosa di nuovo. E allora, forse, ha ragione Gianni Amelio quando, in conferenza stampa, afferma che il suo “L’intrepido” è un film “fortemente fuorimoda”, nel senso che è un unicum, un film che va oltre gli schemi di oggi: “non credo che oggi si facciano film così”, ha aggiunto, evidenziando quella che è una oggettiva purezza di forma e di contenuti, una proposta di valori ormai persi, resa con grande sincerità. Ecco che allora, forse, resta la purezza, la sincerità, la dignità di un personaggio, di una storia, di un modo di raccontare, come vera eccezione, come vera innovazione.
Perchè le novità, di temi come di stili, non sono state – appunto – poi tante, con grandi autori che rifacevano un po’ se stessi, proponendo piuttosto esercizi di stile. E allora non stupisce, invece, il successo di film di altri grandi, di precedenti ma universali generazioni, come Scola, con una giovane creatività che vince sempre e commuove davvero, o di colonne del cinema internazionale come Stephen Frears che, seppure con un cinema tradizionale, sa parlare e coinvolgere meglio di altri.
Ma forse, viene da pensare che un festival non può che riflettere quella che è la realtà: non solo come temi, come la crisi, le violenze domestiche, ecc., ma anche rispecchiando quello che è un po’ un momento di transizione, nel mondo come nel cinema, come sottolineato, nel suo cortometraggio, dal presidente della giuria Orizzonti, Schrader. Insomma, siamo in un momento in cui il cinema riflette un clima di inquietudine e di passaggio, ed un festival legge questo clima.
Restano comunque note importanti, come appunto i film già citati, come l’acclamato “Still life” di Uberto Pasolini, da molti considerato il migliore della Mostra; come tanti piccoli grandi documentari di cui il festival era disseminato. Ecco, semmai da rilevare una certa sovrapposizione di appuntamenti, come nel caso delle conferenze stampa, inspiegabilmente, in alcuni casi, disertate dai “grandi” colleghi, soddisfatti evidentemente dalle interviste singole e mai curiosi di ascoltare ulteriormente o verificare novità che in queste occasioni possono emergere. Peccato.
Per il resto, il clima “festivaliero” sembra non cambiare con il tempo: attrici ed attori che si dividono tra red carpet ed eventi sponsorizzati; colleghi che corrono da una parte all’altra dell’area del festival per fare il loro lavoro e blasonati giornalisti che vivono il tutto con altro respiro. E poi, come rilevato già da tanti, il clima da festival 2.0, con file per entrare in sala caratterizzate da giornalisti ricurvi sui loro smartphone. Insomma, l’innovazione del web che irrompe nella Settima Arte che, come sottolinea il personaggio di Sergio Rubini nel film di Scola, arriverà anche “dopo le altre sei arti”, ma il cui fascino resta sempre intatto.