Ancora un personaggio femminile forte, una storia intensa: la regista di “Mamma mia!” e “The Iron Lady”, Phyllida Lloyd, sembra affrontare un genere differente e lo fa certamente con uno stile diverso dai precedenti, più intimo, a tratti quasi documentaristico, che ricorda il cinema inglese sociale e impegnato, ma in realtà resta intatto l’approccio verso i personaggi, cercando di evidenziarne le sfumature, le difficoltà. Nel suo nuovo film “La vita che verrà – Herself” (nelle sale da oggi, 17 giugno), emerge la resistenza, il tentativo di una giovane donna, Sandra, di ricostruire la propria vita e di dare un futuro alle figlie: costruzione, come la casa che vuole realizzare da sola, dopo essere riuscita a fuggire da un marito violento. Un percorso non semplice, ma la storia non è solo quella di una costruzione di una nuova vita, ma di una costruzione realizzata insieme ad altri, di una solidarietà che si manifesta pian piano, per emergere prepotente, senza facili sentimentalismi. All’inizio, infatti, tutti i personaggi non arrivano immediatamente per empatia, ma mostrano nei fatti, gradatamente, la vicinanza a Sandra e concretamente diventano parte della sua rinascita e anche della loro: quel sentimento che il capocantiere ed il figlio sintetizzano nell’antica parola irlandese “methal”, ovvero quando le persone si riuniscono insieme per darsi aiuto reciproco. Ricostruzione, resistenza, forza, tradotte attraverso uno stile, come si diceva, che rimanda al cinema inglese alla Ken Loach, anche per i colori, le ambientazioni, i sobborghi – in questo caso dell’Irlanda – che diventano piccoli paesi, la camera che segue da vicino i personaggi; ma soprattutto tradotte dalle prove degli attori, su tutti quella della protagonista, Clare Dunne, famosa anche come interprete teatrale, che è anche autrice della sceneggiatura. «Ho incontrato Clare per la prima volta – ricorda la regista – quando stavo cercando gli attori per Giulio Cesare, all’inizio del mio progetto su Shakespeare al femminile. Clare è venuta per il ruolo di Porzia. Non dimenticherò mai il suo provino: fu incredibile vedere un attore che è completamente se stesso; che colma il divario tra se stesso e il suo personaggio. […]». Lo stesso stupore la regista lo ritroverà tempo dopo, leggendo la sceneggiatura a cui Dunne aveva lavorato a lungo. «Era una scrittrice nata […] ho accettato di dirigere il film solo a condizione che ci fosse lei nel ruolo di Sandra».