Il calcio come potente metafora, come “strumento per raccontare storie umane”; e il territorio del sud, per una volta non “luogo in cerca di riscatto, ma luogo di riscatto” per chi proviene da fuori: “U.S. Palmese”, il nuovo film dei Manetti Bros – da oggi, 20 marzo, nelle sale – è dunque, un’opera che offre un diverso sguardo, cinematografico e non solo. Un piccolo grande film in cui si uniscono sogno e poesia, ma non qualcosa di illusorio o utopico: una visione differente, un punto di vista differente, portato sullo schermo da chi conosce le realtà che racconta e può narrarle in maniera autentica, senza stereotipi, ma nemmeno buonismi e tantomeno retorica. Nello stile dei Manetti: con la loro ironia, il linguaggio cinematografico che guarda ai fumetti, al cinema di genere, con le inquadrature e il montaggio sempre sorprendenti, e mettendoci davvero il cuore.

I fratelli Manetti scelgono Palmi, la città della madre, per ambientare una storia in cui il sogno degli abitanti di un paese – che si autofinanziano per portare in una squadra di calcio di serie D un campione internazionale (dalla fama un po’ offuscata dalle sue intemperanze) – diviene realtà, cambiando la vita del giocatore, che nel sud d’Italia trova il suo riscatto: una storia che potrebbe apparire semplice, ma che, come dicevamo, ribalta invece visioni, stereotipi, luoghi comuni, pur non tralasciando la realtà, ma affrontandola sempre con il sarcasmo, con quel taglio ironico che consente di mettere in luce anche altro. Così puoi pensare che chi arriva da fuori resti affascinato dalla bellezza dei luoghi, mentre lui guarda la ritualità immobile di un paese: e, all’improvviso, quello che potrebbe sembrare noia invece stupisce e conforta, mentre la “cartolina” non è lo strumento principale del cambiamento.

Uno sguardo “altro” e sull’altro, su tutto ciò che solitamente, spiegano i registi (ieri sera presenti all’anteprima a Reggio Calabria, insieme ad uno dei protagonisti, Max Mazzotta), non viene mai raccontato. Ma è appunto lo stile dei Manetti a fare la differenza, il modo in cui, ancora una volta, riescono ad essere anni luce lontani dall’ovvio, a proporre un cinema nuovo e pure pieno di citazioni e autocitazioni (come lo slow motion), che fanno della loro opera un unicum. Con “U.S. Palmese” questo si amplifica: forse, appunto, perchè qui nell’ideazione del progetto c’è anche una motivazione sentimentale, una vicinanza ad un luogo, un sogno da realizzare.

C’è tanto, in questo piccolo grande film: la storia di questa squadra di provincia è una metafora del desiderio di riscoprire i propri sogni, del lavorare insieme per raggiungerli, del guardare sempre oltre (oltre gli schemi, oltre i confini, oltre le possibilità). Ed è proprio questa la forza anche della costruzione di “U.S. Palmese”: una squadra, ovvero un cast che sostiene questo film, con singoli giocatori con un ruolo diverso, ma con lo stesso obiettivo. Ed è così che l’”attaccante” non può che essere Rocco Papaleo (nel ruolo di don Vincenzo, l’ideatore dell’acquisto del campione), come sempre capace di dare intensità al personaggio, mutando con naturalezza toni e registri; e l’assist non può che arrivare da un giovane e talentuoso attore come Blaise Afonso, nei panni del bomber francese Morville. Ma a colpire molto è anche il “coach” Max Mazzotta, motore dell’azione, con il suo straordinario talento e con la sua forza espressiva che conquista la scena. Così come Giulia Maenza, intensa interprete della figlia di don Vincenzo, sorprendente anche nella perfetta pronuncia e inflessione dialettale, e i “mediani” che sembrano creare un coro greco, finalizzando il gioco e conducendo al gol: dal reggino Massimo De Lorenzo, nei panni dell’avvocato, a Massimiliano Bruno (anche lui di origini calabresi), in quelli del macellaio, a Gianfelice Imparato, nel ruolo del saggio professore che infarcisce le frasi di citazioni latine. Senza dimenticare i fuoriclasse, ovvero la partecipazione di Guillaume De Tonquedec, famoso attore francese che molti ricorderanno nel film “Cena tra amici”, e di Claudia Gerini che, ancora una volta, con i Manetti Bros trova un personaggio – in questo caso un’eccentrica poetessa – che le dà modo di regalare al pubblico una grande interpretazione.
E il gol, a questo punto, non può che arrivare. Così come, specialmente nel finale, la commozione.