QUEER – L’attesissima nuova opera di Luca Guadagnino approda al Lido di Venezia in concorso. Se n’è tanto parlato soprattutto per l’interpretazione di Daniel Craig nel ruolo di un omosessuale, per la lunga durata – dal regista poi ridotta subito prima della presentazione al pubblico – e soprattutto perché è tratta da un romanzo “maledetto” di William Burroughs, scritto negli anni ‘50 ma pubblicato solo negli ‘80 a causa della sua scabrosità. Difficile raccontare il plot, diremo solo che si tratta di Lee (Craig) a Città del Messico negli anni ‘50, che si innamora di un giovane, da cui è molto attratto ma che a volte lo respinge altre lo accoglie. L’estetica del film è preponderante, come in tutte le opere di Guadagnino, stavolta però il tutto è un po’ confuso, non è chiaro quale sia il messaggio del regista (la ricerca dell’amore? Della comunione dei corpi?), con una parte finale nella giungla con Lee e l’amante alla ricerca della “yage” (una droga che favorisce la telepatia) che fa involontariamente un po’ Indiana Jones. Certo l’interpretazione di Craig è grandiosa, ci sono dei momenti molto belli visivamente (la resa del protagonista mentre immagina di accarezzare il suo amore, il “mixarsi” dei due corpi sotto l’effetto della droga), e una prima parte in cui Craig rende perfettamente l’innamoramento del suo personaggio, tra sessualità e romanticismo. E l’uso delle canzoni, moderne nonostante l’epoca in cui il film è ambientato, come New Order, Prince e addirittura gli italiani Verdena. Nel complesso non dispiace ma lascia l’amaro in bocca, come se fosse un po’ un’occasione perduta, se non addirittura sprecata. Comunque a Venezia è piaciuto, lunghi applausi da parte del pubblico in sala.
Francesco Arcudi