Una storia di riscatto da una parte e di crescita, di formazione, dall’altra; un incontro tra anime, una simbiosi, come quella tra l’afide e la formica. E proprio “L’afide e la formica” è il titolo dell’esordio nel lungometraggio del regista lametino Mario Vitale (già vincitore di una menzione speciale ai Nastri d’argento per il corto collettivo “Il miracolo”), nelle sale dal 4 novembre. Una storia universale, che trae questa sua universalità non solo dalla tematica del racconto, ma anche dal luogo in cui è ambientata, la Calabria che, come sottolineavamo qualche settimana fa, sta mostrando la sua possibilità di essere narrata in maniera diversa. Universalità, dunque: grazie ad una scrittura (su soggetto dello stesso regista e di Saverio Tavano, autori anche della sceneggiatura insieme a Francesco Governa e Josella Porto), che propone una storia che riflette le problematiche, i turbamenti della gioventù e che, nello stesso tempo, incontra i turbamenti di un uomo con un passato doloroso da dimenticare e che si scontra con le tragedie del quotidiano, parlando anche di incontro e scambio culturale. E pur se l’azione è incentrata, è radicata nel territorio, mostra, appunto, la capacità del territorio stesso di essere universale. Mario Vitale coglie questa capacità della sua città, Lamezia Terme, realizzando un’opera che, con piccoli tocchi, ma con una grande abilità di racconto visivo, crea una narrazione che guarda a queste potenzialità.
Il tutto grazie anche all’apporto del cast: a partire dalla – ormai potremmo definirlo così – “certezza” Giuseppe Fiorello, che incarna la figura del professore, il protagonista che, incontrando una studentessa, Fatima, riesce a riscattare la propria vita e, nello stesso tempo, a dare un’opportunità di crescita alla ragazza. Ad interpretarla, Cristina Parku: nei suoi occhi – e nel suo talento espressivo – c’è tutto il film, leggiamo attraverso il suo sguardo la realtà, il sogno, la voglia di trovare se stessa. E poi l’antagonista, Nicola: ancora una grande prova per Alessio Praticò, che prende su di sè questo personaggio, rappresentandolo in tutte le sue contraddizioni. Un attore tra i più apprezzati, che in questi mesi sta dando ulteriore prova del suo talento in tanti film e serie tv anche di prossima uscita (attualmente, è sul set della quarta stagione di “Boris”). E ancora, Anna Maria De Luca, nei panni della madre di Nicola, Nadia Kibout in quelli di Amina, la madre di Fatima, oltre alla partecipazione straordinaria di un’intensa Valentina Lodovini, nel ruolo di Anna, l’ex compagna del professore.
Una storia che, pur nella semplicità del racconto, anzi forse proprio grazie a ciò, riesce a scardinare i meccanismi di narrazione che hanno connotato, fino a qualche anno fa, il racconto ambientato al sud e ad evitare qualsiasi bozzettismo, qualsiasi caratterizzazione eccessiva dei personaggi, a farne non delle macchiette, ma dei personaggi reali, e come si diceva, universali.
Universali come le tematiche, come la metafora della corsa, che diviene simbolo, per la ragazza e per il professore. Simbolo di introspezione e di nuova consapevolezza, proprio attraverso uno stretto legame con il territorio, letto e fotografato in funzione catartica. Come un altro protagonista, che ha voglia di indossare le scarpe da corsa e provare a misurarsi con se stesso.