Ancora un “gioiellino” cinematografico, ancora un viaggio nelle storie dei singoli che riflettono l’universalità, ancora Marsiglia con il suo paesaggio a fare da contraltare alle vite complicate, ancora gli attori storici, a rendere iconico e concreto alla stesso tempo ogni personaggio: “La gazza ladra”, il nuovo film di Robert Guédiguian, in sala dal 17 aprile, incarna appieno tutti i temi, tutta l’umanità, tutta l’opera del regista. Che non abbandona, infatti, l’attenzione al sociale o i risvolti politici, ma, ancora una volta, li esprime nelle vicende quotidiane dei singoli, perchè esse stesse “politiche”, perché contengono in sé i temi sociali a lui cari. Pur con una storia che in apparenza potrebbe sembrare un paradosso: la gazza ladra del titolo è Maria, la protagonista (ancora una volta una grandissima Ariane Ascaride), una badante affettuosa e amorevole nei confronti degli anziani che accudisce, anche oltre gli orari di lavoro e stando loro vicina con un affetto ricambiato. Tuttavia, a volte sottrae loro del danaro, fa la cresta sulla spesa, convinta quasi di non far nulla di male. Lo fa perchè il marito, dedito al gioco, li ha portati alla rovina; ma anche per ritagliarsi degli sfizi (come mangiare le ostriche), dei piccoli lussi da concedersi come una normalità, come quel diritto al piacere, al “godere della leggerezza, della bellezza” che il regista ritiene una possibilità che “tutti, per quanto deprivati dalla vita”, dovrebbero avere. Ma, ad un certo punto, la protagonista si spinge oltre, per poter assicurare al nipote la possibilità di studiare pianoforte, sognando per lui un futuro roseo. Una speranza che cerca di concretizzare al di là dei limiti, ma che in realtà gli anziani per i quali lavora hanno già colto, forse anche facendo finta di non vedere i suoi furti, guardando al di là delle apparenze. Perché ogni vita che incontra la protagonista nasconde qualcosa, una sofferenza, un sogno infranto, un contrasto familiare; ed è il caso, la fatalità, a far emergere questi disagi, ma anche a provocare incontri che scompaginano tutti i progetti: e allora, ancora una volta, è la solidarietà umana a prevalere, è l’incontro stesso a dissolvere i contrasti familiari, è lo sguardo quasi disincantato sul mondo che crea nuovi percorsi.

Guédiguian sembra, come si diceva, passare ad una fase più intimista, ma in realtà lo sguardo è, appunto, identico, “politico” attraverso l’umanità. Ed il cast ormai consolidato si pone ancora una volta all’interno di un’orchestra ormai rodata, dando vita ad una sinfonia perfetta, per ritmo e profondità. Non a caso, la musica è, come nell’opera complessiva del regista, protagonista del film: non solo con il riferimento del titolo, non solo con il pianoforte che diventa motore dell’azione e causa scatenante del succedersi di eventi, ma anche come chiave del racconto, come linguaggio e asse portante, simbolo di una bellezza che, ribadisce il regista, ha lo stesso significato della bontà e deve essere di tutti. Così come la bellezza della letteratura, anche in questo caso citata come strumento di comprensione e di universalità: e le parole de “La povera gente” di Hugo (con il senso di umanità e solidarietà della famiglia di un pescatore) declamate da Jean-Pierre Darroussin, anche stavolta straordinario, segnano il momento più intenso e commovente di tutto il film.