Solo poco più di un mese fa rilevavamo l’assenza alla Mostra del cinema di Venezia, al contrario degli anni precedenti, di una sezione o quantomeno della proiezione di film sul teatro, o che trattassero il rapporto tra cinema e teatro o comunque tra le arti. Un momento importante che anche altri festival, in questi ultimi anni, hanno riservato proprio a questo argomento. Fa, dunque, piacere constatare come la Festa del cinema di Roma abbia scelto invece di proseguire, anche nell’edizione 2024, su questa strada, proponendo film su temi teatrali o legati al rapporto tra cinema, arte, teatro e letteratura, all’interno di una sezione, Freestyle Arts. Sezione che, in realtà, comprende un po’ di tutto, anche forse senza una linea molto definita, ma che – come si diceva – ha il merito di porre all’attenzione di una platea più ampia, come può essere quella di un festival, opere e temi spesso considerati troppo specifici o lontani dal pubblico di massa. Chiaramente non tutte le opere si rivolgono ad un’audience popolare o troppo vasta, ma – a volte anche per la presenza di volti noti al grande pubblico – certamente l’occasione di una vetrina così rilevante può essere utilizzata per acquisire nuovi target di interesse, per coinvolgere sempre più persone e incuriosirle verso questi argomenti.
Tra i film in programma quest’anno, “Si dice di me”, di Isabella Mari, sul lavoro di Marina Rippa e sulla potenza del teatro come strumento di cambiamento, o “Aspettando Re Lear”, che vede il ritorno dietro la macchina da presa di Alessandro Preziosi, anche interprete di questo documentario, che giunge dopo l’omonimo spettacolo (che sta per tornare in tournée): proprio le prove per l’allestimento teatrale sono al centro del doc, ma si spazia anche nel “teatro del mondo, incarnato da una Venezia labirintica e notturna”: è un incontro tra teatro e cinema, ma anche arte visiva, dato che gli attori si muovono all’interno di scenografie create con le opere di Michelangelo Pistoletto. Ed è, chiaramente, pure una riflessione sui temi del celebre testo shakespeariano, a partire dal rapporto padri-figli.
Cinema e teatro si uniscono anche in “Duse, the greatest”, firmato da Sonia Bergamasco. Il cinema che la Duse rifuggiva (girò solo “Cenere”) diventa strumento per ricordarla, attraverso testimonianze, interviste, materiali d’archivio, interventi di giovani attrici che si confrontano con “il” mito. Ma, anche in questo caso, la biografia, il ritratto è pure uno strumento per andare oltre, per indagare anche il mestiere attoriale.

È quello che accade, in particolare, nel film che abbiamo avuto modo di vedere in anteprima, “Giulia mia cara! Giorgio”: è un documentario, è un percorso nel lavoro di una attrice immensa, è un’opera di cinema dal linguaggio sperimentale/contemporaneo, è un racconto epistolare, è un viaggio nella storia del teatro, è un indagine tra teatro e vita, è uno sguardo su una delle collaborazioni artistiche più importanti del teatro italiano, quella tra Giorgio Strehler e Giulia Lazzarini, e sul significato profondo di due ruoli, regista e attore/attrice, così vicini, quasi inscindibili. E’ anche un percorso filosofico, attraverso la profondità delle parole che Strehler scrisse ad una delle più grandi interpreti italiane: parole in cui si scruta il senso del teatro, in cui ogni termine assume una valenza profonda; ma sono anche parole, quelle del regista e quelle che risuonano nel film, in cui il rapporto tra teatro e vita viene scandagliato, come un legame altrettanto forte e inscindibile. Ed è – e non potrebbe essere altrimenti – un viaggio nella storia del teatro, nei meandri della recitazione, dell’analisi del testo, con il fascino incredibile che emana l’ascolto di Lazzarini nella lettura dei copioni, nel soffermarsi sulle frasi, evocando le sfumature, le intenzioni, le pause volute da Strehler: e con il fascino delle stesse spiegazioni che il regista dà ai suoi attori.
Immagini, parole, materiali d’archivio di prove e spettacoli, che si inframezzano a riprese che la regista del documentario, Maria Mauti, realizza sia nella casa di Giulia Lazzarini, dove tutto parla di teatro, sia al Piccolo, dietro le quinte, mostrando attrezzi, sartoria, costumi, luoghi in cui quella magia si crea. La voce di Strehler e le immagini sfumate della scena (con inediti di prove e dietro le quinte) aleggiano tra i corridoi di casa, mentre le parole scritte dal regista vengono lette dall’attrice, ad esempio, sul fermo immagine di uno scaffale di tessuti o sulle riprese delle sarte al lavoro. Tutto si intreccia, in un linguaggio contemporaneo: un linguaggio che sembrerebbe rivolgersi a chi già conosce la storia teatrale, ma che in realtà può aprire mondi a chi si accosta a quell’universo. Ed è, infine, anche un’opera in cui il cinema incontra il teatro, anche perchè segue le prove di uno spettacolo proprio dedicato alle lettere inviate da Strehler, lette dalla stessa Lazzarini. Da questo spunto nasce, dunque, un film che indaga sull’arte teatrale in connessione con la vita, mostrando la nascita di uno spettacolo in tutte le sue parti, ma soprattutto dando modo di osservare, in ogni singola sfaccettatura, in ogni singola intonazione e nella sua profondità, l’arte di un’icona del teatro come Giulia Lazzarini.