IL GIUDICE E IL BOSS – In anteprima al settantesimo Festival di Taormina il nuovo film di Pasquale Scimeca (Placido Rizzotto, Rosso Malpelo). La vera storia del giudice Cesare Terranova e del suo aiutante, il poliziotto Lenin Mancuso, uccisi dalla mafia nel 1979. Alla fine degli anni ’60 il magistrato Terranova (Gaetano Bruno), uomo retto e integerrimo, accetta il trasferimento a Corleone, dove “ci sono almeno 100 mafiosi” (dice un personaggio del film) e dove il potere è in mano a Luciano Liggio (Claudio Castrogiovanni), aiutato dai vari Totò Riina, Bernardo Provenzano e altri nomi noti. Mentre al fianco del giudice c’è Lenin Mancuso (Peppino Mazzotta), che – come il magistrato – non conosce paura e non ammette compromessi nel suo lavoro. Il loro compito è quello di arrestare e far condannare il pericoloso boss Liggio, ma quando riescono a catturarlo, alla fine del lungo processo a Bari questi verrà assolto, e ciò sarà una sconfitta per Terranova, che non gli impedirà però di rialzarsi e riprendere a combattere la mafia. Una parte di vita di due uomini coraggiosi e temerari con, sullo sfondo, un pezzo di storia del nostro paese, mentre la mafia allunga i suoi tentacoli nella politica e si mescola agli attentati del 1969 in alcune banche di Roma e Milano (la strage di Piazza Fontana), attribuite a gruppi di terroristi dell’estrema destra. Pasquale Scimeca crea una storia senza un attimo di tregua, costruita come un film d’azione, trattando un pezzo di storia d’Italia, con un largo uso di camera a spalla che porta lo spettatore “dentro” la vicenda. I protagonisti, dal canto loro, sono strepitosi nel delineare questi personaggi realmente vissuti.
Gaetano Bruno (Il dolce e l’amaro, Indivisibili, L’ora legale) ci regala una prova di grande maturità nel ruolo di Terranova, rendendolo uomo tutto d’un pezzo sul lavoro, ma con una grande sensibilità nel rapporto con la moglie. Peppino Mazzotta (Anime nere, Montalbano) restituisce una grande umanità al suo Lenin, (rendendolo assolutamente diverso dal Fazio di Montalbano) dedito al suo lavoro ma con una grande stima e dedizione al magistrato. Mentre l’ottimo Claudio Castrogiovanni costruisce un Luciano Liggio ambiguo e temibile, pieno di chiaroscuri, perfido e privo di scrupoli, in una grande prova d’attore. Indimenticabile il confronto tra Terranova e Liggio dopo l’arresto di quest’ultimo in cui il magistrato chiede al suo antagonista “Liggio posso farle una domanda? Lei vede paura nei miei occhi?”. Un film necessario, soprattutto per le nuove generazioni che non conoscono queste figure importanti della storia d’Italia, che però lascia con l’amaro in bocca, non solo per la tragica fine dei due protagonisti, ma per la domanda che ci risuona in testa alla fine del film: “se Liggio fosse stato condannato all’ergastolo alla fine del processo di Bari, quante vite sarebbero state risparmiate?”