La coerenza come linea stilistica, il mettersi in discussione come strumento per esplorare se stessi e riaffermare quella coerenza. I diritti civili da difendere sempre, l’arte e l’amore come mezzi per tornare a fare di quell’impegno per i diritti un punto fermo. Le generazioni che si osservano e che si incontrano, la Storia, gli ideali: insomma, in “E la festa continua!” (che arriverà nelle sale italiane dall’11 aprile) ritorna tutta la poetica del regista Robert Guédiguian, attraverso storie che sembrano ripercorrere strade già note, nella filmografia dell’autore, ma che in realtà questa volta affrontano ancor di più il passare del tempo, la crisi degli ideali alla luce del cambiamento della società circostante, ma che poi diventano sempre più forti, grazie ai sentimenti.
E’ quanto accade alla protagonista del film, Rosa, che si divide tra il lavoro come infermiera, la sua famiglia e l’impegno politico e sociale per la comunità cittadina: alla vigilia della pensione, le illusioni di una vita sembrano vacillare. Ma un nuovo incontro e i comportamenti e gli accadimenti che riguardano chi le è accanto – dai figli al fratello Tonio, alla giovane collega – la porteranno a rafforzare le proprie convinzioni, a credere ancora in un futuro, sia a livello personale, che a livello sociale, in una visione univoca e non separata dei due contesti.
Il suo percorso dà modo di rivedere, come si diceva, tutti gli elementi della filmografia di Guédiguian, Marsiglia, la politica, l’impegno per i diritti (qui la storia che è punto di partenza e finale è il crollo di due palazzi in rue d’Aubagne, avvenuto nel 2018), ma soprattuto le emozioni dei singoli, le loro storie che si confrontano con la Storia, con la società. I loro cambiamenti sono tasselli di un cambiamento sociale, auspicato, un’utopia possibile per l’autore; sono le riflessioni di chi vive la propria affermazione con consapevolezza, ma anche con il timore che l’individualismo possa prevalere sull’impegno. Il sostegno, la solidarietà, il vivere civile, come valori fondamentali, per vincere quell’individualismo. Impegno come atto politico, nel senso più alto del termine; felicità come atto politico, come positività data dal cambiamento, una felicità che diventa tale solo se di tutti e non singola.
E l’arte come strumento per mettere in atto la politica stessa. L’arte che nasce nel film, con la semplicità di una riflessione, che diventa racconto, teatro civile, definito dalla protagonista come “l’unico modo di fare politica” (e, anche se in un primo tempo lei stessa pensa che la vecchia generazione non possa farlo proprio, la sua riflessione passa poi dal teatro in cui si trova recitare da sola, sotto la luce di un proiettore, nel rimando alla cinciallegra e a Rosa Luxemburg, che il suo nome omaggia, così come il nome del fratello Antonio si riferisce a Gramsci, per volontà del padre); e l’arte del film, l’arte cinematografica che esplica questa riflessione.
La naturalezza del racconto, la levità che diviene profondità, come i discorsi del consuocero Henri: è lo stile del regista, sono le interpretazioni dei magnifici attori che da sempre con lui fanno squadra (a partire dalla moglie Arianne Ascaride, sempre straordinariamente capace di esprimere con una piccola variazione nello sguardo ogni emozione, ogni pensiero, e poi Jean-Pierre Darroussin e Gérard Meylan); è la musica, che parla, è diretta, è drammaturgia; e sono le inquadrature e la città, protagoniste senza costruzioni posticce, facili, ma come elementi di un racconto intimo e universale al tempo stesso.