#coincidenzedamore Bentornata Meg Ryan! Sally è cresciuta e la rom com, o meglio la commedia, con lei (non a caso, all’inizio del film, il protagonista toglie la corrente ad un display dedicato proprio alla rom com…): la ragazza è diventata donna, le insicurezze e l’ansia le lascia più all’alter ego maschile, e le risate – seppur l’ironia alta non manca – lasciano il posto alla profondità; la commedia romantica diviene commedia drammatico-sentimentale o semplicemente umana, dove la riflessione sulla maturità, sulle possibilità, i sogni, le aspettative e la paura dei fallimenti si incrociano.
C’è la scrittura, e c’è sì l’impianto teatrale dal quale il film deriva: ma c’è anche tanto cinema e – al contrario di quanto leggo…ma va bene: parafrasando Moretti, mi sa che starò sempre dalla parte della minoranza! – c’è un’idea precisa di cinema, di uso degli spazi con riprese mai uguali, in cui ogni elemento della scena-aeroporto (dove una coppia di ex si incontra dopo 25 anni e dove resta bloccata per la neve) diviene strumento per inquadrare in maniera differente, sempre diversa, per dare ritmo e sottolineare; e c’è uno scavare lentamente, in profondità, nei personaggi, un’attenzione al dettaglio nel ricostruire un rapporto di coppia (un esempio su tutti, la scena al bar, dove i volti ridono, per la situazione e la telefonata, ma, ad altezza dello sguardo, ci sono le mani dei protagonisti, che si cercano e quasi inconsciamente restano sempre unite), per poi ricostruire una complicità e un’intimità di dialogo tra i due.
Meg Ryan sembra aver raccolto la lezione di Nora Ephron (alla quale il film è dedicato), pur senza la tagliente ironia, le battute sferzanti delle sue commedie, ma con quei dialoghi fitti, costanti. Sì, forse è un po’ verboso, forse qualche sottofinale in meno avrebbe giovato: ma c’è la realtà, la vita – come si ripetono i personaggi -, in una costruzione interessante, elegante e delicata, che gioca anche con il tocco surreale: sembra, a tratti, che tutto si svolga in una dimensione metafisica, che sia quasi un sogno, un luogo immaginario. Ma le domande, gli accadimenti, i racconti sono reali, realistici. Umani: quanto di maggiormente mancante proprio nella realtà e, spesso, anche al cinema.
Soprattutto, oltre alla Meg Ryan regista, è tornata la Meg Ryan attrice: che si prende in giro, autocita qualche sua commedia (dalla “vita che non volevi con me”, che ci ricorda “Harry ti presento Sally”, all’accenno alla camminata dei suoi personaggi – un tempo spensierata o sicura, oggi incerta per gli acciacchi della donna che interpreta – che ci riporta a “French kiss”), si rappresenta e rappresenta una generazione, cresciuta e cambiata insieme a lei. E’ un percorso quello che Ryan riflette nel film, non un rimpianto o un punto di arrivo, nè una partenza, ma un viaggio (per riprendere una delle frasi della sceneggiatura): lo stesso che affronta anche il co-protagonista, reso con altrettanta profondità recitativa da David Duchovny. Non sarà un capolavoro (e meno male, vista la facilità con cui questo termine viene oggi usato), non sarà perfetto, ma è un ritorno, denso di sincerità: e non è poco.