Giurista con la passione per l’arte: Antonio Albanese unisce la parte razionale del suo lavoro (avvocato, docente di diritto privato all’Università di Bologna, saggista) a quella altrettanto razionale, ma anche emozionale, della scrittura – tra poesia e prosa -, della musica, dell’arte a 360 gradi, quella parte che porta avanti attraverso lo pseudonimo con il quale firma le sue opere, Rigel Bellombra. Il suo romanzo, “L’abrogazione dell’amore”, ha riscosso notevole successo ed ha raggiunto i vertici delle vendite su Amazon nella sezione Narrativa politica. Le sue opere poetiche hanno ricevuto importanti riconoscimenti; ha vinto il concorso “Racconti tricolore”; alcuni suoi testi sono diventati canzoni, incise nell’album “AeDo1 (Amore e niente più”); un recente progetto lo ha visto collaborare con l’attore Ivano Marescotti; ha fondato il premio internazionale “Arte e giustizia”…e l’elenco potrebbe continuare! Tante iniziative, dunque, realizzate ed in cantiere, delle quali abbiamo voluto parlare direttamente con l’autore.
Come è nata questa tua passione per l’arte, nelle sue diverse declinazioni?
In primo luogo, dalla fortuna di avere avuto due genitori come i miei: sono cresciuto in una casa con molti libri e poiché nessuno mi costringeva a prenderli in mano era inevitabile che mi avvicinassi alla lettura.
In casa avevamo anche un vecchio pianoforte, suonato da mia madre, che io strimpellavo con poca grazia: tutti credevano che andassi a memoria, invece erano le mie prime creazioni in forma di improvvisazione; finché un giorno ho ricevuto in dono un sax e anni dopo un clarinetto. Mio padre a tavola ci recitava (bene) le poesie di Jacques Prévert e sotto la doccia cantava (malissimo) i classici della tradizione francese o napoletana…
Infine, i miei genitori mi hanno abituato al viaggio, anche a costo di sacrificare qualche settimana di scuola. Se sin da piccolo impari a viaggiare per il mondo, prima o poi vorrai confrontarti con il tuo mondo interiore, il più complesso.
In me le passioni si fondono con le radici. Non ho mai abbandonato né le une né le altre.
In secondo luogo, la mia inclinazione alla deformazione della realtà, senza oltrepassarne i confini. Il pensiero razionale ha rappresentato una parte importante della mia carriera, ma arte e immaginazione sono stati gli strumenti per interpretare me stesso e il mondo.
Come mai la scelta di questo pseudonimo?
Siamo sempre lì: le radici! Rigel è il nome del palazzo in cui sono cresciuto, a Reggio Calabria, e Bellombra è il nome della via in cui vivevo nella città che mi ha accolto, Bologna, dove ho studiato, ho formato la mia famiglia, è nato mio figlio. Tra l’altro mi piaceva che Rigel fosse anche il nome di una stella meravigliosa e romantica, che rilascia una soffusa luce blue. Solo di recente un vecchio amico mi ha ricordato che Rigel è anche un personaggio di Goldrake, il mio cartone animato preferito: ma non un personaggio qualsiasi… è il più bruttino, sciocco e ridicolo, non certo un eroe (forse per questo non lo ricordavo più). Questo accostamento mi piace e mi diverte!
Come definiresti il tuo stile poetico?
È lo stile di uno che scrive per se stesso per mettere a nudo le contraddizioni della propria anima. Se pensassi al lettore o al mercato, avrei uno stile preciso e univoco, ma la mia anima è imperfetta e (sin troppo) variegata. Per me scrivere è solo un’occasione come un’altra per ascoltare me stesso e recuperare la mia interiorità, la capacità di commozione e di compassione, la violenza e la dolcezza. La poesia si fonda su una ricerca, non meno che la scienza: una ricerca interiore anziché empirica, una continua sperimentazione. Ciò che è dentro l’uomo è infinito quanto il mondo esterno.
Certamente il mio stile risente delle mie letture, dagli autori che più mi hanno formato durante l’adolescenza sino a quelli che hanno accompagnato la mia maturità: il mondo si divide tra chi scrive e chi legge. Ma prima di scrivere bisogna aver letto moltissimo. Purtroppo oggi scrivono persone che non si sono mai confrontate col ritmo di Pascoli e Gozzano, con l’espressività stilistica di Montale, Sbarbaro, D’Annunzio, che non hanno mai letto i grandi americani, come Whitman, Borges, Neruda, o che ignorano i simbolisti francesi. Ma è un bluff che si scopre sin dal primo verso.
Cosa rappresenta la poesia per te e, in particolare, la scelta di unire musica e poesia?
Poesie e musica sono un tutt’uno indissolubile e la mia esperienza personale me lo conferma. Io ho sempre saputo che avrei scritto romanzi, ma non avrei immaginato affatto di diventare un poeta. Ho iniziato componendo musica. Solo dopo anni, ho iniziato a scrivere i testi delle mie canzoni, poi questi testi hanno vinto concorsi letterari e così sono diventati poesie. Adesso scrivo indistintamente poesie che diventano canzoni o canzoni destinate a divenire poesie; il meccanismo è identico: nelle une e nelle altre, tutto nasce dal suono e dal ritmo… Ne è testimonianza il mio primo CD, intitolato “AeDO 1 (Amore e niente più”): contiene 11 canzoni d’amore, ma i testi sono risultati vincitori di premi letterari internazionali e sono pubblicati su diverse antologie.
Da cosa nasce il nome AeDO, con cui hai intitolato tutta la tua opera musicale?
AeDO 1 è il primo di una serie. Ciascun CD sarà un concept album, sarà numerato (AeDO 1, AeDO 2, ecc.) e avrà un sottotitolo che ne circoscrive il tema.
Si tratta di poesia in musica, nel solco della tradizione cantautorale italiana e francese: il nome della Collana, “AeDO”, rappresenta da un lato l’omaggio agli aedi, che nell’Antica Grecia trasmettevano i poemi attraverso il canto (come ad esempio Omero), e dall’altro lato la prima nota dei due sistemi di notazione (“A” per il sistema anglofono e “DO” per gli altri sistemi).
Un recente progetto ti ha visto collaborare con un grande attore come Ivano Marescotti: di cosa si tratta?
Il progetto si intitola “Fuoriclasse” ed è destinato ai bambini delle scuole elementari. È un grande contenitore, un cofanetto con poesia, musica, canto, recitazione, disegno. Alle letture e all’ascolto, alla recitazione e al canto, si aggiunge la possibilità, grazie agli spartiti, di studiare il pentagramma; infine, le basi musicali delle canzoni consentono il karaoke, l’esercizio col proprio strumento musicale e la comprensione del ritmo. Le poesie e le canzoni sono interpretate da Ivano Marescotti e le storie sono arricchite con elementi descrittivi, grazie ai disegni di una bravissima illustratrice.
L’arte, così, diventa il tramite per educare a una passione, perché la passione è sempre inclusiva, insegna a non escludere nessuno, trasforma i bimbi consapevoli di oggi negli adulti sereni di domani.
Questo progetto avrà un seguito?
Non so se scriverò più per bambini perché questo è già un progetto che mi soddisfa pienamente: non credo che esistano opere analoghe per completezza; consentirà ai bambini un’immersione totale nel mare della fantasia. Nessuno fantastica così tanto e così bene come i bambini. E l’arte, in ogni sua forma, è innanzi tutto immaginazione.
Però mai dire mai!
Con Ivano, però, conto di lavorare ancora se, come spero, lui ne avrà piacere. Non è soltanto un attore tra i più bravi in circolazione, ma anche un uomo dalla simpatia straordinaria e di una rara affabilità. In “Fuoriclasse”, i personaggi usciti dalla mia penna hanno trovato una reale dimensione nella sua voce carismatica, mai uguale a se stessa e sempre credibile. Magari ripeteremo l’esperimento per un genere diverso, il teatro ad esempio.
Lo scorso anno hai pubblicato il tuo primo romanzo, “L’abrogazione dell’amore”, che ha avuto un grande successo.
Il sottotitolo, “Cronaca imparziale del 2038 e di come la Legge sconfisse il Diritto”, contribuisce a definire meglio un romanzo che presenta diversi livelli di lettura: uno sentimentale, uno politico/giuridico e uno storico. Da un lato esaspera alcune tendenze dell’odierna società italiana e dall’altro riprende episodi e personaggi importanti della nostra storia; al centro è una storia d’amore, ma in effetti l’innamoramento tra i due ragazzi protagonisti è l’occasione, oltre che per riflettere sul tema dell’amore, per delineare un’Italia futuristica e farsesca: un’Italia in cui la forma prevale sulla sostanza e dove qualsiasi legge, anche la più ingiusta, può essere ammessa solo perché l’ha voluta la maggioranza, anche se è una maggioranza formata da individui che hanno perso la loro autonomia di pensiero. La “legge che cancella l’amore” divide l’Italia, nel mio libro, provoca una guerra civile, e i confini tra satira e tragedia diventano sottilissimi: la guerra civile porta a una contrapposizione violenta tra i nemici dell’amore e i suoi seguaci, che però non sono privi di peccati e contraddizioni, perché l’amore è imperfetto.
Come è nata l’idea?
Un’idea (credo) intelligente nata dall’elaborazione di un’idea stupida. Nella mia vera professione, quella di giurista, avevo appena ultimato in qualità di direttore una corposa opera collettiva sulle nuove famiglie, circa un migliaio di pagine ad opera di professori, avvocati, notai, magistrati. Per un attimo ho pensato che sarebbe bastato al prossimo legislatore aggiungere un breve comma a un articolo di legge per abrogare tutto, tutta la nuova normativa con le conquiste di civiltà che comporta. In altre parole: per abrogare la famiglia come oggi la conosciamo.
Mai sottovalutare nessuna idea, neanche la più stupida, perché quel che conta è come la attui e la confezioni. Attorno a questa esile e strampalata struttura ho inserito temi che mi stanno a cuore da sempre, come la cronica mancanza di meritocrazia nel nostro Paese. Nel complesso, però, è venuto fuori un atto di amore verso l’Italia e l’italianità. Un amore nello specchio dell’ironia.
Cosa hai pensato quando il Governo ha emanato i primi decreti sul distanziamento sociale?
L’esperienza dell’epidemia è andata ben oltre la mia fantasia: io avevo scritto di una legge che proibisce, e punisce con sanzioni pecuniarie e carcere, gli abbracci e i baci; è quel che avvenuto, anche se per circostanze diverse da quelle del mio libro e del tutto imprevedibili quando io scrivevo. Diciamo che è stato un libro profetico sul piano politico e dei provvedimenti normativi, non su quello sanitario, del quale non mi occupavo affatto nel romanzo. Descrivevo il distanziamento fisico in un’Italia in cui una classe politica priva di idee e valori, una volta esauriti i nemici contro i quali coalizzare il popolo, per autoconservarsi condannava la famiglia e l’amore, e dunque proclamava il rifiuto delle relazioni intime; una realtà inquietante in cui sono proibiti i rapporti sentimentali e sono sanzionati i baci e gli abbracci. I rapporti sessuali sono possibili solo dopo schedatura e in appositi centri, ma mai abitualmente con uno stesso partner, altrimenti si ricadrebbe nel divieto di amore! In effetti, il libro, seppur in forma ironica, riproduce le ansie che stiamo tutti vivendo a causa di questa distanza forzata: il distanziamento fisico, però, non è indotto dalla paura del contagio, ma dalla legge che ha abrogato l’amore e che costringe le famiglie e le coppie a vivere separate. Gli abrogatori teorizzano che una società di single sia un bene per la produttività e per l’economia, e quindi anche per la nazione oltre che per i singoli. Ovviamente una parte di italiani non è d’accordo, sicché scoppia la guerra civile tra gli abrogatori dell’amore (al potere e sostenuti dalla maggioranza) e i sostenitori dell’amore (all’opposizione), indicati come i “ribelli”.
Lo stile umoristico come strumento per parlare della realtà: quanto conta l’ironia nella lettura del mondo e anche nell’arte?
Distinguerei. Per la buonuscita dell’opera, è fondamentale perché mi consente di spersonalizzare, di evitare che eventuali mie amarezze o delusioni personali o lutti entrino in maniera troppo diretta nelle storie, appesantendole.
Per il successo, nulla. Dovrei dirti che serve a non prendersi troppo sul serio, ma se un autore non si prende sul serio come può pretendere che lo facciano la critica e il pubblico? Infatti, ho deciso: da domani chiudo con l’ironia e mi prendo sul serio!
Una grande creatività, dunque: quali altri progetti hai in cantiere?
In generale, mi piacerebbe avere più tempo da dedicare alla diffusione delle mie opere, ma questo per me è il progetto più duro da realizzare. Intanto è nato il sito www.rigelbellombra.com, anch’esso in forma ironica e marchiato dalla mia mania di mischiare e confondere il vero col falso. Inoltre ho fondato il Club “Dubito ergo sum”, aperto a tutti: lo Statuto può leggersi sul sito. Infine lavorerò alla terza edizione del premio “Arte e Giustizia”, da me fondato con la mia società di formazione, Lexenia.
Più nello specifico, per la musica, usciranno gli altri cd di AeDO. Collaborano all’Opera alcuni tra i maggiori musicisti italiani e internazionali (strumentisti di Vasco Rossi, Lucio Dalla, Pavarotti, Bocelli, Zucchero, Vanoni): un patrimonio di competenza e amicizia che non voglio disperdere.
Ho poi in cantiere altri libri di poesie e una raccolta dei miei scritti umoristici.
Non appena riapriranno in totale sicurezza i teatri, però, ricomincerò a girare l’Italia col mio editore, Arturo Bernava (Ed. IlViandante), per la presentazione del romanzo “L’abrogazione dell’amore”: un modo di affrontare col pubblico temi seri in tono scherzoso. Un dibattito tragicomico sull’utilità o meno dell’amore e della famiglia, in cui si analizzano tutti i pro e i contro: mi sa che la mia rinuncia all’ironia e il correlativo ingresso nella schiera degli intellettuali dovranno ancora attendere…