Non è più una scoperta. Non è più una realtà emergente, bensì già emersa.
Eppure stupisce sempre, in una Calabria forse ancora tutta da scoprire, vedere che qualcosa che è già affermato, è già scoperto.
Che ha un livello internazionale da imitare, cui ispirarsi. Un livello che non scema, ma anzi cresce nel tempo. Così come l’attenzione di tutta la critica teatrale nazionale. Che arriva ogni anno, alle pendici del Pollino, a Castrovillari, per assistere, in un’atmosfera quasi d’incanto, al nuovo, alla creatività, al teatro che entusiasma, che apre le menti.
Primavera dei teatri non smentisce se stessa, ma stupisce, ancora.
Per l’undicesimo anno, la suggestione del Protoconvento (nella foto) circonda un festival che offre la possibilità, rara per la Calabria, ma innovativa anche per il resto dell’Italia, di apprezzare gli spettacoli della nuova scena italiana, di confrontarsi con il “gotha” della critica italiana, che si riunisce in questo luogo, tra la magia del chiostro e la bellezza degli altri locali dell’antico edificio, per ammirare il meglio della creatività giovane, della ricerca teatrale. Che ha così una sua vetrina importante, ma che nello stesso tempo apre il campo alla conoscenza del nuovo, delle tendenze, all’incontro tra generi, autori, linguaggi.
Primavera dei teatri ha una valenza che riunisce tutti questi aspetti, e anche di più. E’ quasi un unicum, per la capacità innovativa che ha, per ciò che ha saputo creare e continua a creare, per lo scambio di idee che genera, per l’incontro di arti che promuove (quest’anno spazio alla mostra fotografica sulle edizioni precedenti del festival, alle installazioni artistiche, senza dimenticare il laboratorio di drammaturgia tenuto da Edoardo Erba, la presentazione del libro “U tingiutu. Un Aiace di Calabria” di Dario De Luca, l’incontro di Enrico Groppali sull’Amleto).
Ciò che Scena Verticale, Dario De Luca e Saverio La Ruina sono riusciti a realizzare e riescono a portare avanti è un mix, giustamente premiato, che, in un’atmosfera informale e accogliente, avvicina pubblico, critica e arte, segnando una strada culturale importante. Quest’anno ancora una volta, tra spettacoli che mostrano diverse creatività, diversi generi, diverse provenienze artistiche e formative.
Dall’ironia visionaria di “Sapore di sale”, alla creatività artistica e immaginifica di “Trattato dei manichini”, passando per tematiche che ritornano spesso, come l’emigrazione, protagonista anche dell’opera di Francesco Suriano “Perchè il cane si mangia le ossa”; e ancora ironia in “L’Italia s’è desta”, dissacrante e strutturalmente interessante, o la scrittura pinteriana tradotta con creatività da due attori (Teatrino Giullare) che portano in scena sei personaggi diversi. Senza contare la sensibilità di La Ruina ne “La borto”, o la bravura di Fabrizio Gifuni, che con il suo “L’ingegner Gadda va alla guerra” ha chiuso un’iniziativa che è molto, molto più di un festival.