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Le sfaccettature del vivere, della famiglia, del femminile, in “Chiamami quando arrivi”

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Renata Falcone e Cinzia Messina in una scena di "Chiamami quando arrivi" (Foto Marco Costantino)

Renata Falcone e Cinzia Messina in una scena di “Chiamami quando arrivi” (Foto Marco Costantino)

Un confronto tra sorelle come incontro tra due femminili, tra due personalità differenti, che incarnano in realtà le sfaccettature dell’essere donna, ma anche del vivere: “Chiamami quando arrivi” non è solo il titolo del testo di Tiziana Bianca Calabrò, portato in scena da Renata Falcone e Cinzia Messina, con la regia di Basilio Musolino, ma è soprattutto la sintesi di un legame, un filo che unisce, al di là del tempo e delle differenze. E’ la famiglia, con le sue contraddizioni, che tiene stretta e allontana, che forgia e da cui prendere le distanze. È l’amore, fatto di evidenze urlate e di verità non dette, tra sorelle. E’ l’essenza dell’essere donna, sempre legata – a livello cosciente o sdrammatizzato da una “folle” ironia – a quell’amore, a quel filo che costruisce le esistenze.

Cinzia Messina (Foto Marco Costantino)

Cinzia Messina (Foto Marco Costantino)

Un’essenza che sembra polarizzarsi tra l’apparente  anticonformismo di  Ines (Renata Falcone), da sempre alla ricerca di un altrove, al di fuori delle mura di casa, pur di essere amata, di essere se stessa, e il rigore in realtà mai cercato, frutto della paura di deludere gli altri, di Bianca (Cinzia Messina), la sorella maggiore che sta cercando di cambiare vita, accettando un lavoro in un’altra città. Ines, raggiungendola sulla panchina della stazione degli autobus (che diventa il non luogo in cui, in tempo reale, si svolge l’azione scenica) vorrebbe trattenerla, come qualcosa a cui ancorarsi, seppure nella diversità: perché quel filo di una felicità di cui forse non si aveva piena coscienza, fermato da una foto dell’infanzia, non si spezzi. Come due parti di un unicum: come, appunto, l’essenza di una donna, fatta di tante sfaccettature, di cui Ines e Bianca sono la rappresentazione.

Renata Falcone

Renata Falcone (Foto Marco Costantino)

Così come sono l’immagine dei tanti volti, delle tante sfaccettature che compongono la famiglia, tenuta insieme da quel “chiamami quando arrivi”, da quel senso di rassicurazione che lega, da quella frase che cura. La cura come elemento che torna, come momento in cui ogni barriera cade, ogni perdono è naturale, ogni sensazione riemerge senza domande.
Ed è la scrittura di Tiziana Bianca Calabrò a delineare – con l’acuta ironia e la costruzione delle storie a partire dai dettagli (come la nascita, l’appartenenza ad una famiglia e la formazione di sé vista attraverso l’arredamento della casa), dalla quotidianità che diventa universalità, che la caratterizzano – questo universo, una fotografia dell’essere (essere donna, ma anche intenso come esistenza) e metafora allo stesso tempo, realismo e verità mediata dall’arte, come il teatro vuole. E come due interpreti, quali Renata Falcone e Cinzia Messina, riescono a concretizzare sul palcoscenico: con misura, con una cura del particolare, del gesto, dell’espressione, che rispetta il testo e lo incarna, dirette dal sapiente sguardo registico di Basilio Musolino.

Renata Falcone, Tiziana Bianca Calabrò, Cinzia Messina (Foto Marco Costantino)

Renata Falcone, Tiziana Bianca Calabrò, Cinzia Messina (Foto Marco Costantino)

Così, anche il pubblico reggino – che, dopo il successo del debutto a Messina, ha gremito il teatro dell’Osservatorio sulla ‘ndrangheta – si fa trasportare dentro la storia, riconoscendosi in quel “chiamami quando arrivi” e nella sua universalità.

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